Scatti di anzianità ai precari: solo a docenti religione, per gli altri necessari giudici del Lavoro e probabile Corte di Giustizia europea

Di Lalla
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red – Con l’ordinanza n. 101/14 la Corte costituzionale rigetta il ricorso di un privato e in parte lo dichiara inammissibile richiamandosi alla precedente sentenza n. 146/2013 con cui aveva ribadito che il principio di non discriminazione richiamato dalla normativa europea esige la comparabilità tra i diritti del personale a tempo indeterminato e determinato, e non come nel caso di specie. Sul tema interviene il sindacato Anief.

red – Con l’ordinanza n. 101/14 la Corte costituzionale rigetta il ricorso di un privato e in parte lo dichiara inammissibile richiamandosi alla precedente sentenza n. 146/2013 con cui aveva ribadito che il principio di non discriminazione richiamato dalla normativa europea esige la comparabilità tra i diritti del personale a tempo indeterminato e determinato, e non come nel caso di specie. Sul tema interviene il sindacato Anief.

Il sindacato Anief commenta la recente Ordinanza della Corte Costituzionale ricordando che presso quasi tutti i tribunali del lavoro, con diverse conferme già in appello, sono attribuiti gli scatti di anzianità ai precari con almeno tre anni di servizio nella misura di una mensilità per ciascun anno di precariato.

La Corte costituzionale, in un giudizio promosso dalla Corte di Appello di Firenze, si era già espressa con la sentenza n. 146/2013 circa la disparità di trattamento tra il personale supplente docente curricolare e ata della scuola e quello inquadrato nella docenza di religione, dichiarando inammissibile la disparità di trattamento, visto il richiamato status specifico dell’ultima categoria nella precedente sentenza n. 343/99.

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Per i giudici, tale disparità si ritrova nella legge 186/2003 riguardo alla fissazione dell’organico al 70% dei posti effettivamente coperti, nella possibile revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano, nell’intesa tra l’autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana richiamata anche dalla sentenza n. 297/2006, e rende inidonea la figura del docente di religione come tertium compariatonis in riferimento alla violazione dell’art. 3, 11, 36, 117 della Costituzione, anche in riferimento al principio di non discriminazione riguardante la direttiva 1999/70/CE. “Rimane pertanto estranea al presente giudizio ogni questione relativa alla disparità di trattamento tra personale di ruolo e non di ruolo, come risulta senza possibilità di dubbio dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione e dal fatto che la medesima non ha proposto alcuna questione di legittimità costituzionale relativa al primo comma del medesimo art. 53 (L. 312/80); sicché l’oggetto del presente scrutinio di legittimità costituzionale deve essere limitato all’ambito sopra delineato”.

Già la Commissione Ue ha ricordato, sulla perdurante discriminazione degli insegnanti e del personale precario della scuola pubblica sul fronte del mancato adeguamento dello stipendio al personale di ruolo, che si tratta di supplenti “impiegati con contratti a termine ma ‘continuativi’, per molti anni, che li lasciano in condizioni precarie nonostante svolgano un lavoro permanente come gli altri”. E questa situazione “è contraria alla direttiva sul lavoro a tempo determinato”.

A questo punto – conclude il sindacato Anief – la mancata risposta in termini di adeguamento della normativa interno al diritto dell’Unione oggetto della messa in mora dello Stato italiano del 20 novembre 2013 da parte della Commissione, potrebbe portare l’Italia d’ufficio, probabilmente già la prossima estate, in Corte di giustizia europea.

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