Sì all’educazione sessuale, no al ‘Gender’. “Amore senza bugie”

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Fulvia Cigala Fulgosi e Dorina Di Sabatino sono le autrici di un interessante volume dal titolo “Amore senza bugie. Storia e scoperta della sessualità” (L’asino d’oro edizioni).

Fulvia Cigala Fulgosi e Dorina Di Sabatino sono le autrici di un interessante volume dal titolo “Amore senza bugie. Storia e scoperta della sessualità” (L’asino d’oro edizioni).

Strenuamente favorevoli all’introduzione dell’educazione sessuale nella scuola italiana (la Buona Scuola, avvertono, doveva fare di più), nutrono invece molti dubbi sui cosiddetti ‘studi del gender’ di stampo anglosassone, che rischierebbero di confondere i ragazzi proprio nella fase più delicata della loro maturazione.

In Italia il dibattito sull’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole si intreccia con quello sulla cosiddetta teoria del ‘gender’. Secondo voi così è ben impostato?

“Il timore che la cosiddetta “teoria del gender” sia ormai entrata nelle scuole italiane e che la nuova Riforma la legittimi ulteriormente, è stato strumentalmente agitato da alcuni settori dell’opinione pubblica e dell’associazionismo cattolico, ma in realtà non è chiaro a nessuno di cosa effettivamente si stia parlando.

Non esiste una teoria del gender unificata, ma piuttosto molteplici studi con diversa impostazione, che analizzano principalmente i ruoli tradizionalmente attribuiti ai due sessi, visti come il risultato di una costruzione sociale e culturale sedimentata nella storia, che ha penalizzato in particolare la donna.

E’ giusto porre l’attenzione su questi temi, interessanti sotto il profilo interdisciplinare, fin dalla scuola primaria, modulandoli in relazione al livello di maturità degli alunni.

Se poi ci riferiamo a certi “studi del gender”, in prevalenza anglosassoni, che definiscono l’orientamento sessuale una scelta soggettiva svincolata dalla realtà anatomica, dobbiamo dire che non potremmo essere più contrarie. Perciò a scuola non parleremmo di questi argomenti con i nostri alunni, qualsiasi età abbiano.

Noi rifiutiamo il pensiero sulla realtà umana che sottende queste impostazioni teoriche, quando sostengono che il “genere” è una caratteristica personale indistinta che ciascuno si sceglie, a prescindere dall’anatomia del corpo.

In questo modo si nega il nucleo fondamentale della nascita degli esseri umani che, come accennavamo prima, è unità inscindibile di corpo e mente, di biologia e di pensiero.

La “libertà a tutti i costi”, che alcuni studi del gender propongono, rischia di confondere soprattutto gli adolescenti, che attraversano una fase delicata di maturazione dell’identità sessuale e in casi di particolare vulnerabilità possono essere negativamente influenzati.

Dobbiamo però chiarire che siamo ugualmente lontane dalle posizioni dell’integralismo religioso, perché ci opponiamo alla discriminazione verso qualsiasi orientamento sessuale vissuto dalle persone e difendiamo la libertà di ciascuno di gestire la propria sfera intima in piena autonomia, godendo di tutti i diritti civili.

Noi vorremmo proporre ai giovani, come abbiamo fatto in “Amore senza bugie”, un’altra visione della realtà umana, originale e profonda, contenuta nella “teoria della nascita” dello psichiatra Massimo Fagioli, che rifiuta radicalmente sia l’ideologia cattolica che vede il male nelle passioni del corpo e le condanna circoscrivendo la sessualità alla mera funzione riproduttiva, sia la visione falsamente libertaria che svuota di contenuto e svalorizza il rapporto uomo-donna.

La chiave di volta di questa nuova concezione antropologica è proprio l’ “uguaglianza nella diversità” del genere maschile e femminile: uomo e donna sono uguali in quanto esseri umani, ma diversi nella specifica identità sessuale, che matura a partire dalla prima infanzia e si completa alla pubertà.

Infatti la dinamica della nascita è universale: per natura tutti i bambini nascono uguali, con la “capacità di immaginare”, e non conta che siano maschi o femmine, non conta la differenza anatomica.

Poi la loro realtà mentale si sviluppa durante l’allattamento, a prescindere dal sesso, fino allo svezzamento, quando inizia a delinearsi la differenzazione psichica tra il maschio e la femmina. Solo nell’adolescenza, dopo la pubertà, si definisce l’identità sessuale, nella piena fusione del corpo e dell’immagine interna, ed inizia quella preziosa dialettica tra identità “uguali e diverse” che porta ad una realizzazione reciproca.

Infatti, come afferma Fagioli, “La sessualità è realtà umana. E’ rapporto interumano al massimo grado che è rapporto uomo donna. E’ ricerca, perfezionamento, approfondimento, realizzazione di un rapporto sempre migliore, sempre più bello, che fa l’identità e non la distrugge”. (Intervista riportata su “Il sogno della farfalla”, aprile 2005)”.

Prescindendo dagli studi sul gender, come si può interpretare l’allarmismo creato nell’opinione pubblica dall’educazione alla sessualità nelle scuole? Qual è la vostra posizione a riguardo?

“È vero, oggigiorno nell’opinione pubblica questo è un tema “sensibile”, al centro di acceso dibattito e di scontro ideologico, in quanto l’Italia sconta un grave ritardo rispetto agli altri paesi europei, che da decenni hanno inserito organicamente l’educazione all’affettività e alla sessualità nella programmazione didattica delle scuole.

Il nostro sistema scolastico offre agli adolescenti soltanto sporadici interventi a carattere tecnico e informativo gestiti dai medici delle ASL, che si focalizzano sugli aspetti biologici della sessualità e sulle pratiche contraccettive e che stanno oltretutto diradandosi in conseguenza dei progressivi tagli ai finanziamenti per la scuola.

Va detto però che, grazie alla sensibilità e alla disponibilità di numerosi insegnanti, negli ultimi anni si è diffusa nelle scuole, a macchia di leopardo, la sperimentazione di progetti curriculari ed extracurricolari che si avvalgono dell’intervento di operatori esterni con formazione psicoterapeutica e dello sportello psicologico. Essi offrono agli adolescenti un percorso approfondito di formazione e conoscenza in un campo così essenziale e fondante per lo sviluppo della loro personalità.

Tuttavia, siamo ancora lontani da una presenza capillare e sistematica dell’educazione sessuale negli istituti di ogni ordine e grado.

La legge di riforma della Buona scuola, che è stata recentemente varata e che, come la stragrande maggioranza degli insegnanti, consideriamo devastante sotto ogni punto di vista, ha perso un’occasione storica anche per quanto concerne l’effettiva introduzione dell’educazione sessuale nella scuola italiana.

La storia è questa: il comma 16 del disegno di legge stabilisce che “il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”, facendo esplicito riferimento alle indicazioni della Convenzione di Istanbul, già sancite per legge nel 2013 (articolo 5, comma 2 del Decreto Legge 93).

Anche se nel testo della legge si menziona una generica quanto confusiva “educazione di genere” e si lasciano ai margini le tematiche più profonde della sessualità, si tratta indubbiamente di un passo avanti verso l’adeguamento agli standard europei.

E’ però accaduto che, sotto la pressione delle frange cattoliche più oltranziste presenti nella maggioranza governativa, la ministra Giannini abbia vanificato l’obbligatorietà di questa nuova disciplina, emanando la circolare 4321, che esige il consenso informato preventivo dei genitori affinché gli studenti possano partecipare alle attività extracurriculari, in cui di fatto vengono confinati gli eventuali corsi di “educazione di genere”.

Che il tema della sessualità sia ancora tabù e che nella scuola nulla debba muoversi lo dimostra il fatto che è stata respinta la proposta di legge della deputata di Sel Celeste Costantino, che chiedeva l’introduzione nelle scuole di un’“educazione sentimentale” (dall’impianto più solido e di ben più ampio respiro), da inserire a pieno titolo nei piani didattici delle scuole, come appunto prevede l’articolo 14 della Convenzione internazionale di Istanbul.

Visto lo stato delle cose, pensiamo che gli insegnanti debbano in ogni caso utilizzare tutti gli spazi e gli strumenti disponibili nell’ordinamento scolastico, impegnandosi a proporre agli studenti un’immagine della sessualità libera e positiva, intesa come fonte di conoscenza, di realizzazione personale e di valorizzazione del rapporto uomo-donna.

Pensiamo che questo si possa realizzare solo andando a fondo dei vissuti emotivi, delle dinamiche e delle problematiche psicologiche degli adolescenti, aiutandoli a maturare un benessere interiore e un armonico sviluppo della loro identità sessuale. Solo su tali basi può diventare efficace il discorso sulla contraccezione e sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e, più in generale, dei comportamenti a rischio adolescenziali, come pure la lotta contro la violenza sulle donne, l’omofobia ed ogni altra forma di discriminazione.

Occorrerebbe quindi introdurre in tutti gli istituti scolastici l’educazione all’affettività e alla sessualità nella programmazione curricolare delle varie materie, con taglio interdisciplinare, ma anche rendere sistematici gli interventi integrativi di approfondimento condotti da esperti esterni, sulla falsariga di quelli cui accennavamo prima, che fino ad oggi hanno avuto solo carattere sperimentale.

Inoltre, dovrebbe essere attivo in ogni istituto lo sportello psicologico, che rappresenta un valido strumento di ascolto ed intervento sulle difficoltà personali dei ragazzi, che spesso sono legate alla dimensione sessuale ed affettiva”.

Ritenete, dunque, che anche i docenti curricolari dovrebbero farsi carico dell'educazione alla sessualità e all'affettività, diventando un po' psicologi e un po' sessuologi. Non è chiedere troppo? La scuola in questo modo non rischia di connotarsi come agenzia educativa esclusiva, indebolendo il proprio statuto di istituzione culturale proprio perché divisa tra mille priorità?

“Proviamo a chiarirci. Anche noi pensiamo che la scuola non debba perdere la sua specificità di istituzione culturale e che gli insegnanti non debbano farsi carico delle problematiche psicologiche degli alunni, anche se la relazione educativa non può prescindere del tutto dal “fattore umano”, perché i problemi affettivi e le difficoltà nel rapporto con l’altro sesso che gli alunni vivono, soprattutto in età adolescenziale, possono distrarli ed estraniarli dall’impegno scolastico.

Ma, come abbiamo detto prima, non spetta ai docenti affrontare a fondo e risolvere questi disagi, di cui si devono occupare gli esperti esterni, competenti in materia.

Il compito degli insegnanti è diverso.

Al di là degli aspetti strettamente psicologici, esistono molteplici, importanti contenuti, inerenti al campo dell’affettività e della sessualità, che sono basilari nello sviluppo della conoscenza umana e che possono a pieno titolo rientrare nella programmazione del Consiglio di classe.

Gli insegnanti li svolgeranno in modo consono alla loro materia. Ad esempio, i docenti dell’area scientifica si occuperanno degli aspetti anatomici e biologici, mentre i docenti dell’area umanistica tratteranno l’evoluzione del rapporto uomo-donna nella storia o le diverse concezioni dell’immagine femminile nella filosofia, nella letteratura, nell’arte, nella musica etc..

Più volte abbiamo sperimentato quale interesse e coinvolgimento suscita questo approccio interdisciplinare, che rende lo studio più vivo e stimolante”.

Il Presidente dell’Age e coordinatore del Fonags Fabrizio Azzolini ha lanciato l’idea di un protocollo che gradui i contenuti di un’eventuale ‘educazione sentimentale’ in relazione all’età dei bambini e degli adolescenti, in modo da porre ‘paletti’ oltre ai quali non è possibile andare. Che cosa ne pensate?

“Certamente gli insegnanti e gli operatori che si occupano di questi argomenti così delicati e coinvolgenti devono affrontarli con gli studenti rapportandosi alla loro età, al loro livello psicologico evolutivo e alla loro capacità di interiorizzare ed elaborare, senza mai forzare i tempi o calare dall’alto informazioni e tematiche non consone alle loro reali esigenze conoscitive.

Sono quindi necessarie sensibilità personale e un’adeguata formazione: l’attenzione, la capacità di ascolto e di rapporto, sempre importanti nella relazione educativa, qui diventano indispensabili.

Il primo caposaldo da tenere presente è che, rispetto ai temi da trattare e alle modalità del dialogo con gli studenti, bisogna distinguere tra la fase prepuberale, in cui il bambino non è ancora atto alla sessualità, e la fase che viene dopo la pubertà quando, con la possibilità di vivere concretamente il rapporto fisico con l’altro sesso, si struttura una vera e propria identità sessuale, per cui la realtà mentale dell’adolescente si deve armonizzare alla realtà del corpo trasformato.

Perciò nella scuola primaria non si possono ancora svolgere le tematiche psicologiche ed affettive inerenti al rapporto sessuale, mentre è importante fornire le necessarie conoscenze scientifiche sulla diversità fisica di genere e sulla fisiologia dello sviluppo sessuale, graduandole in relazione al momento evolutivo dei bambini e rispondendo alle domande e ai perché che spontaneamente pongono. Occorre cogliere il loro vissuto interiore, in modo da non ledere il naturale processo evolutivo nella formazione dell’identità sessuale.

Si deve anche prestare cura e attenzione alle relazioni e alle dinamiche che si creano in classe tra i bambini e le bambine e favorire un clima di confidenza in cui siano liberi di esprimere il loro pensiero.

Con i ragazzi più grandi, che già vivono le prime esperienze d’amore, si approfondiranno quelle problematiche affettive più intime e complesse che nascono nel rapporto tra i sessi, ma sempre nel rispetto della maturazione raggiunta.

La chiave di volta, ciò su cui fondamentalmente bisogna lavorare, in ogni fascia d’età, è la qualità della relazione tra maschi e femmine, guidando gli studenti a comprendere che la “diversità nell’uguaglianza” è il senso più profondo del rapporto interumano, che nessuna discriminazione o prevaricazione è accettabile, che è possibile liberarsi dai pregiudizi e dagli stereotipi.

Detto questo, bisogna anche chiarire che i “paletti” non vanno intesi come ingerenze esterne che limitino la libertà di insegnamento e soprattutto la libertà di esprimersi e di conoscere da parte dei giovani, che proprio nella scuola dovrebbero trovare la possibilità di svincolarsi dai condizionamenti negativi che troppo spesso subiscono nella famiglia e nella cultura che li circonda.

Infatti ben sappiamo, dopo una lunga esperienza scolastica, quanto sui ragazzi pesino i vecchi stereotipi sui ruoli maschili e femminili o i sensi di colpa di stampo religioso e quanto, d’altra parte, siano disorientati dalle immagini piatte e fuorvianti e dai falsi modelli diffusi dai mass media, che svuotano il rapporto uomo-donna del suo vero significato formativo e trasformativo”.

Nella stragrande maggioranza dei Paesi sviluppati l’educazione sessuale è praticata nelle scuole da anni. Quest’usanza ha davvero contribuito alla diffusione di comportamenti più responsabili, abbassando per esempio il numero delle gravidanze indesiderate o delle malattie sessualmente trasmissibili?

“L’educazione sessuale, presente nel sistema scolastico delle nazioni più sviluppate, è sicuramente utile per contrastare i comportamenti a rischio dei giovani nel campo della sessualità.

Ce lo conferma questo passaggio del Rapporto Estrella, presentato al Parlamento europeo a settembre 2013 dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere: “Gli Stati membri dell’Europa orientale e meridionale tendono ad avere programmi di educazione sessuale scadenti o a esserne privi. Percentuali elevate di gravidanze tra le adolescenti, aborti e infezioni sessualmente trasmissibili sono tendenzialmente collegate a un’educazione sessuale lacunosa o insufficiente”.

Segnaliamo però, sulla base dei dati rilevati dalle indagini statistiche, che esiste una notevole disparità tra i paesi europei riguardo al fenomeno delle gravidanze indesiderate delle adolescenti, che oscillano tra gli estremi positivi dei Paesi Bassi (5 per mille) e quelli negativi della Bulgaria (44 per mille). In Gran Bretagna il tasso è piuttosto alto (26 per mille), anche se si è ridotto da quando, nel 2009, è diventata obbligatoria l’educazione sessuale degli studenti sopra i quindici anni.

Uscendo dai confini europei, colpisce l’allarmante percentuale di un paese sviluppato come gli Stati Uniti (93 per mille).

Evidentemente è la qualità dell’insegnamento che conta: ci deve essere formazione accanto all’informazione. La mera informazione sugli aspetti biologici della sessualità e sulle tecniche contraccettive, proposta in modo asettico, può restare scissa dal reale vissuto e dalle problematiche dei giovani, che magari a livello razionale recepiscono le informazioni ma a livello interiore più profondo restano condizionati da scrupoli moralistici o dal timore degli effetti collaterali, oppure tendono inconsapevolmente ad esporsi a comportamenti a rischio sulla base di un disagio psicologico pregresso.

Un caso particolare e contraddittorio è quello dell’Italia che, pur in assenza di un’educazione sessuale sistematica, presenta un tasso di gravidanze indesiderate tra le minorenni più basso di quelli di altri stati europei (7 per mille) in parte anche perché, come suggerisce il professor Carlo Flamigni, le giovani ricorrono più frequentemente alla “pillola del giorno dopo”.

Recentemente in Svizzera un movimento di genitori si è battuto perché l’educazione all’affettività fosse spogliata delle sue implicazioni morali e affettive per limitarsi alla pura spiegazione fisiologica di ciò che avviene tra uomo e donna. Qual è il vostro commento?

“Per tutto quanto detto prima, è evidente che la richiesta di questo movimento di genitori svizzeri non ci trova per nulla d’accordo.

Infatti non è possibile separare la componente fisiologica dalla dimensione affettiva della sessualità, perché l’essere umano è, fin dalla nascita, fusione tra mente e corpo, tra realtà psichica e fisica.

A ben guardare, è proprio la scissione tra queste due dimensioni, imposta dalla cultura dominante per secoli, che reprime nei giovani, oggi come nel passato, l’espressione autentica e libera della sessualità, generando tanto malessere e tante problematiche psicologiche”. 

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