Riforma scuola. Ichino: “150mila precari assunti”, obolo ai sindacati. Scuole disegnino riforma. 66% docenti premiati cifra alta

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Sulla riforma della scuola proposta da Renzi, L’autore di “Liberiamo la scuola” (insieme a Guido Tabellini) legge nelle intenzioni annunciate dal Governo uno slancio concreto all’innovazione e alla realizzazione dell’autonomia, ma la riforma non può essere scritta dal centro, le singole scuole devono disegnarne struttura, obiettivi e funzioni.

Sulla riforma della scuola proposta da Renzi, L’autore di “Liberiamo la scuola” (insieme a Guido Tabellini) legge nelle intenzioni annunciate dal Governo uno slancio concreto all’innovazione e alla realizzazione dell’autonomia, ma la riforma non può essere scritta dal centro, le singole scuole devono disegnarne struttura, obiettivi e funzioni.

Professor Ichino, in un suo contributo apparso nei giorni scorsi su Lavoce.info ha scritto che l’assunzione ope legis dei 150.000 precari annunciata da Renzi non la convince (blocco di nuovi ingressi per molti anni a venire, mancata considerazione del merito). Pensa che il Governo avrebbe potuto o dovuto seguire un’altra strada anche con la spada di Damocle delle sentenze europee puntata addosso?

Non so se il governo avrebbe fatto bene a seguire una strada diversa e in particolare a non fare questa gigantesca assunzione ope legis. Come studioso, penso sia mio dovere segnalare che non si sentiva il bisogno di 150000 assunzioni nella scuola, soprattutto se indipendenti dal merito e dalle capacità dei futuri assunti. Tuttavia, da un punto di vista politico, questo era probabilmente un prezzo inevitabile da pagare ai sindacati per realizzare le importanti novità che il progetto governativo contiene.

So di essere un pessimo politico e quindi non sono in grado di dire se il prezzo pagato è stato troppo alto o se si potevano spuntare condizioni migliori.  Ci metterei una pietra sopra, ormai, e mi concentrerei invece sulle novità che non devono rimanere semplici annunci. In particolare l’autonomia scolastica, soprattutto nella “scelta della squadra” che dovrà insegnare in ogni scuola, la sostituzione degli scatti di anzianità con aumenti retributivi legati al merito e la trasparenza totale dei dati sulle scuole e gli insegnanti. Queste conquiste, se non resteranno solo sulla carta, probabilmente valgono il prezzo pagato.  Ma attenzione: implicano che molti neo-assunti potrebbero non trovare posto come insegnanti nelle nuove scuole, se i dirigenti non li sceglieranno nelle loro squadre!

Nello stesso articolo torna su uno dei suoi cavalli di battaglia: non è vero che l’Italia finora ha speso poco per l’istruzione, il problema è che ha speso male. Le pare che le linee guida di Renzi esprimano una capacità più adeguata a riguardo? I conti che hanno fatto per esempio sugli scatti e sul tetto del 66 per cento le tornano?

Il testo governativo è davvero ben fatto e molto ben documentato, tranne che su un punto: la giustificazione delle 150000 assunzioni, con particolare riferimento ai dati OCSE che ho citato. La giustificazione offerta dal governo sembra consistere solo nella necessità di venire incontro alla “legittima aspirazione a insegnare” dei precari, non in una reale esigenza di sistema. Anche perché, se capisco bene, circa 90000 dei nuovi assunti non sono nemmeno previsti dall’organico attuale (già probabilmente gonfiato).

Sui conti del governo riguardo alle coperture finanziarie non mi esprimo perché mancano elementi sufficienti per giudicarli. 

Riguardo alla scelta del 66% di insegnanti da premiare in ogni scuola, si potrebbe obiettare che questa cifra è molto alta. Nella sperimentazione ministeriale “Valorizza” i docenti apprezzati da tutti (colleghi, famiglie e studenti), ossia quelli per i quali tutte le componenti concordano nel ritenere la loro reputazione ottima, sono solo il 20%. Ma non è questo il punto cruciale: quel che conta, è il principio rivoluzionario per cui è preferibile premiare una parte degli insegnanti con scatti più sensibili piuttosto che dare poco a tutti.

Se il senso delle sue domande riguarda invece la possibilità che da ora in avanti la scuola italiana inizi a spendere meglio di prima, credo che se le novità della proposta governativa saranno realizzate, le risorse disponibili potranno davvero essere utilizzate in modo migliore.

A proposito del limite dei due terzi fissato per gli incentivi ai docenti migliori, valuta positivamente la mobilità che si verrebbe a creare nel momento in cui docenti bravi ma non ottimi nella loro scuola decidessero di spostarsi in istituti meno competitivi, dove sarebbero di stimolo e di esempio ai colleghi? Se le chiedessero una consulenza per accelerare la costruzione di un sistema di trasparenza tale da consentire simili valutazioni e spostamenti che cosa suggerirebbe? Da dove si dovrebbe partire? Quali i modelli da imitare?

Sì: l’idea che il premio riservato ai due terzi migliori possa generare una mobilità positiva è interessante. Ma ancora meglio sarebbe se alle scuole venisse data libertà di contrattare liberamente le retribuzioni con i loro insegnanti e di fare offerte attraenti ad insegnanti di altre scuole per favorirne la mobilità. Per valutare gli effetti di proposte di questo genere sarà molto utile il registro nazionale degli insegnanti e il loro portfolio che, stando alle intenzioni del governo, dovrebbero essere pubblici. Ma sarà anche necessario poter abbinare questi dati sugli insegnanti ai dati sugli alunni e sulle scuole, in modo da poter misurare statisticamente se la mobilità produce effetti desiderabili proprio in termini di apprendimenti degli studenti e di performance delle scuole.

L’architettura istituzionale di questa nuova buona scuola è ancora tutta da costruire. A chi dovrebbe spettare questo compito, secondo lei? Temendone l’inerzia e la tendenza a riprodurre se stessa, qualcuno avanza giustamente il dubbio che l’Amministrazione possa non esserne all’altezza.

Il compito dovrebbe essere affidato alle scuole stesse: questa domanda tocca un punto fondamentale della riforma. E su questo punto il documento governativo è purtroppo ambiguo. In alcune parti esalta l’autonomia delle scuole e assume un impegno ad aumentarla quanto più possibile, sia in termini di offerta formativa che di gestione delle risorse soprattutto umane. In altre parti emerge invece il tradizionale approccio dirigista ministeriale, che affida a via Trastevere la gestione della riforma. Se prevale il primo approccio tutto bene. Se prevale il secondo, temo il disastro: non è pensabile gestire dal centro, e soprattutto riformare in modo efficace, un’azienda con quasi un milione di dipendenti.

Un capitolo che la preoccupa è quello dell’autonomia delle scuole e in particolare dei dirigenti, descritti efficacemente come comandanti di navi di cui non possano governare il timone. Non pensa che però prima di metterli nella cabina dei comandi si dovrebbe considerare in un’ottica diversa anche la loro inamovibilità? Nelle aziende i manager che non raggiungono i loro obiettivi possono andare anche a casa…

Ha ragione e mi preoccupa la vaghezza del documento governativo su questo. Insieme a Guido Tabellini, nel nostro libro  “Liberiamo la scuola” abbiamo fatto una proposta precisa riguardo alla governance delle scuole autonome e in particolare alla loro dirigenza:  affidare al bacino di utenza di una scuola la possibilità di votare tra diverse proposte di governance e dirigenza. Se affidiamo ai cittadini il compito di votare per il Parlamento, e quindi indirettamente per il governo del paese, perché non dovremmo aver fiducia in loro e affidare a loro anche il compito di votare la dirigenza delle scuole? Io credo che svolgerebbero questo compito molto meglio dei “concorsoni” ministeriali per dirigenti (e insegnanti).

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. Lo fanno in 132mila

Apertura ai finanziamenti privati. Quali realtà o quali aziende potrebbero realisticamente investire nella scuola secondaria oggi in Italia?

Nei contesti locali molte aziende sono interessate a finanziare scuole autonome che siano in grado di formare la forza lavoro necessaria, a tutti i livelli, sapendo adattarsi rapidamente alle esigenze di un mercato e di una tecnologia in continua evoluzione. Se davvero vogliamo un’efficace transizione tra scuola e lavoro, mediata dalla formazione professionale, questa è la strada da percorrere. 

Ma non è questo il solo canale di finanziamento possibile dei privati alle scuole: esistono le donazioni che in altri paesi sono una fonte  importante.  A Milano, recentemente, un genitore che ha offerto ad un liceo un investimento significativo (nell’ordine di parecchie decine di migliaia di euro) per arricchire la didattica con nuovi corsi di approfondimento per gli studenti migliori, ha avute molte difficoltà a convincere la scuola ad accettare, perché gli insegnanti temevano chissà quali doppi fini. I fondi privati sono ovviamente da rifiutare se comportano condizionamenti. Ma se i condizionamenti non ci sono, perché dovremmo temerli?

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