Riforma. Bruschi propone: provincializzazione immediata graduatorie di istituto. 3 + 2 rischia divorzio tra scuola e università

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Una lunga intervista in cui l’Ispettore del Miur risponde con scaltrezza e pazienza ai molti interrogativi generati dal disegno renziano sulla scuola.  “Prossimi anni picchi di assunzioni decisamente alti”

Una lunga intervista in cui l’Ispettore del Miur risponde con scaltrezza e pazienza ai molti interrogativi generati dal disegno renziano sulla scuola.  “Prossimi anni picchi di assunzioni decisamente alti”

In un nostro recente articolo ci siamo domandati se, alla luce di quanto prospettato dalle Linee Guida presentate dal Governo, le abilitazioni conseguite attraverso Pas e Tfa siano ancora utili. A una persona che conseguisse la laurea da ora ai prossimi due o tre  anni che cosa consiglierebbe? Di buttarsi nel TFA o di aspettare le nuove lauree magistrali?

“Non solo gli consiglierei di “buttarsi” nel TFA, ma consiglierei caldamente al Ministro di non sospendere le procedure attuali sino a quando le nuove non saranno avviate. Uno dei connotati del corretto agire politico amministrativo è nella continuità degli atti, che troppo spesso viene meno. La serenità degli aspiranti è costantemente messa alla prova, i loro progetti di vita appesi nell’incertezza, e ogni appuntamento si tramuta, “psicologicamente”, in un’ultima spiaggia da raggiungere con ogni mezzo. No, grazie. Evitiamolo, o meglio, iniziamo ad evitarlo. Aggiungo che la predisposizione delle Lauree magistrali richiede tempi non comprimibili non solo di definizione di un nuovo regolamento o di modifica del 249/2010 (si può infatti procedere anche così: ed esiste anche un “canovaccio di revisione” approntato a suo tempo), che richiedono almeno, trottando, 8 mesi, ma anche per il mutamento degli ordinamenti didattici, particolarmente complesso. Se qualcuno dovesse aver detto al ministro, come fu detto a suo tempo alla Gelmini, che “l’anno prossimo sarà tutto pronto”, sono pronto a sfidarlo a pubblica e giuridica tenzone…”.

Che cosa pensa dell’assunzione ope legis dei precari dalle Gae? Le acuminate polemiche di questi giorni hanno un senso?

“Farei una ripulitura terminologica. Parlerei di azzeramento, ope legis, delle graduatorie ad esaurimento e delle graduatorie di merito del concorso: che contengono precari e persone che precarie non sono, posto che non amo particolarmente (e lo dico da “precario”) il termine e che la precisazione è, semplicemente, la fotografia della situazione. Nel primo caso (GAE), si tratta di una accelerazione e conclusione di un processo, quasi per l’appunto da “anno zero”, già previsto nella norma sin dagli anni ’70, quando fu sciaguratamente “inventato” il doppio canale. Piaccia o meno, sussiste un diritto soggettivo di chi è inserito in quelle graduatorie all’essere immesso in ruolo, a qualsiasi titolo vi sia stato inserito e qualsiasi cosa stia facendo o abbia fatto nel frattempo.

Non c’entra l’Europa (che, al massimo, come da contenzioso in corso al Lussemburgo, potrebbe dichiarare l’illiceità della copertura dei posti vacanti e disponibili attraverso le supplenze), c’entra l’Italia e il suo ordinamento. Nel secondo caso, è ovvio che, nel momento in cui si azzerassero le GAE, si debbano azzerare anche le GM, per ovvi motivi “etici” e giuridici. Quanto all’ipotesi di mutamento delle “quote” previste dal TU, spero che si approfondisca il tema, perché a mio parere esistono vie più semplici e nette e per norma si può procedere allo svuotamento e a cancellare o modificare gli articoli 399 e 401 del Testo Unico, tornando dopo mezzo secolo alle sole procedure concorsi. Ho l’impressione che, al fondo, ci sia un fraintendimento sulle GAE, che NON sono una “procedura riservata”, e dunque con vincoli alla percentuale di assunzioni, ma sono, sin dal loro atto di fondazione, un “concorso per soli titoli”.

Pensa che agli abilitati Pas e Tfa I ciclo abbiano ricevuto un trattamento equo nel disegno di Renzi?

“La politica intende compiere una scelta netta, di “azzeramento” del passato e di un sistema di reclutamento dagli esiti grotteschi. E lo fa, stando alle intenzioni, nell’unico modo possibile e senza che le graduatorie risorgano dalle loro ceneri. Intanto, occorre una premessa. L’azzeramento delle Graduatorie dovrebbe portare a fissare entro i termini quantitativi del “giorno dopo” l’organico, modificando il comma 7 dell’articolo 19 del Decreto Legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni , dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Magari con qualche piccolo aggiustamento, dovuto alla presenza in GAE di classi di concorso desuete. Un aumento dell’organico comporta, fisiologicamente, un incremento del ricambio dovuto al turn over. Se si faranno le cose “per bene”, non solo i 40.000 posti del futuro “concorso 2015” sono reali, e tutti disponibili unicamente per le procedure concorsuali, ma sono prevedibili, negli anni successivi, dei “picchi” di assunzione decisamente alti, senza scomodare modifiche alla riforma Fornero.

Detto in altri termini: senza lo svuotamento di GAE e GM, e cioè a legislazione e organico invariati (a scanso di equivoci e di guai, attiverei comunque le procedure “presupposte” per bandire a legislazione invariata: chiamatelo eccesso di prudenza), anche solo con la modifica a mio parere comunque imprescindibile che obblighi ad assumere su tutti i posti vacanti e disponibili, sul prossimo concorso i posti a disposizione sarebbero stati decisamente meno di 40.000, e comunque con la “concorrenza” di tutti i presenti in GAE… In prospettiva la situazione non potrebbe che farsi più rosea, riallineando il sistema agli standard europei ed evitando il riproporsi delle terribili situazioni di infinita attesa.

Se così delineata, mi sembra che la scelta sia lungimirante. Intendiamoci: capisco perfettamente la sfiducia e il “sentiment” degli abilitati attraverso le procedure ordinamentali, le cui ragioni sono state più volte avanzate. L’apertura del PAS da un lato, l’indizione di un concorso, dopo 12 anni, cui non hanno potuto partecipare, rappresentano degli ovvi e giusti motivi di lamentela. Ed è altresì ovvio che il cancellare di colpo la patologia italiana delle supplenze annuali riduce la possibilità di occupazione, sia pure precaria, nella scuola pubblica. Sull’altro piatto della bilancia, va posto un sistema guarito, spero una volta per tutte, da alcune delle sue croniche malattie, che già hanno danneggiato i loro “fratelli maggiori” delle SSIS: l’arbitrio sulle percentuali di immissioni, l’impossibilità di accelerare, per merito, il proprio ingresso in ruolo, il vedersi superare da colleghi altrimenti “tutelati”.

Quanto ai PAS, rivendicano il loro status di “precari storici”. Ma, anche in questo caso, resta la possibilità di giocare la carta del concorso con una platea di concorrenti decisamente inferiore rispetto al preventivato. E ci metto pure il “carico da 11” della consolidata sfiducia nei confronti della politica e dell’amministrazione. La risposta migliore sarebbe in una contestuale o perlomeno concatenata predisposizione dei provvedimenti, che sono imponenti per numero e di estrema complessità giuridica.

Faccio un’ulteriore considerazione. Già oggi il sistema educativo di istruzione e formazione prevede la necessità, per le paritarie e per molti insegnamenti dell’IeFP, di personale abilitato. Sottolineo di non avere assolutamente nulla (anzi) contro questo assetto, a tutela della libertà di scelta tra le offerte formative. E sottolineo che le norme ci sono. Se non piacciono, si possono cambiare, ma sino a che ci sono, occorre rispettarle. La loro attuazione e i conseguenti controlli e il troppo ampio margine lasciato ai contratti vanno resi forse più stringenti, proprio a tutela delle molte realtà di eccellenza che si vedono schizzare di fango da persone e comportamenti indegni di qualsiasi struttura, figuriamoci se “sé dicente” educativa. Proprio perché lo sviluppo sano delle paritarie e dell’IeFP è essenziale, a mio parere, per il sistema di istruzione e formazione, occorre non nascondere la testa sotto la sabbia. Tra l’altro già la fine delle GAE, delle III fasce e del meccanismo di raccolta punti  rendono meno appetibile lo scambio osceno che in troppi casi si verifica tra punteggio e prestazioni gratuite (quando non addirittura pagate). Qualche passo in più per abbattere queste forme di caporalato andrebbe fatto, aprendo agli abilitati prospettive di lavoro decorose e depurando il sistema dalle scorie: ramazza tanto più necessaria nel momento in cui si pensa al ritorno a commissioni interne per l’esame di Stato. Quanto all’IeFP, ovviamente distinguerei tra le discipline “di area comune” e le discipline professionalizzanti, dove il ricorso a esperti è uno dei punti di forza delle migliori esperienze.

C’è peraltro un altro segnale che può essere dato da subito: la “provincializzazione” immediata delle graduatorie di istituto, attraverso una modifica del regolamento supplenze che potrebbe ricomprendere anche le previste “finestre” di inserimento per gli abilitati (con attenzione alle posizioni giuridiche consolidate: e dunque in coda “provvisoria” o disponendo aggiornamenti annuali). Ciò “nelle more” del sistema da adottare una volta chiusa la partita della ristrutturazione dell’organico”.

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Il PD si ostina a dire che il Tfa l’ha ‘ereditato’ e che mai e poi mai avrebbe impostato in questo modo un percorso di abilitazione. Perché risulta così indigesto?

“All’epoca della predisposizione del 249/2010 ebbi un confronto con le associazioni d’area, in sede parlamentare di VII commissione, con i sindacati e anche alcuni dibattiti pubblici. I dissensi espressi in quelle sedi, a fronte anche dei consensi, erano trasversali, e andavano dalla difesa dell’esperienza SSIS (tra l’altro ereditata per molti aspetti dal TFA), alla proposta di lauree magistrali abilitanti (paradossalmente quanto a suo tempo disposto dal Ministro Moratti attraverso il decreto legislativo 227/2005, prima sospeso e poi cancellato dal successivo governo), alla richiesta di abilitazione ope legis per i non abilitati con due anni di servizio. Per abitudine inveterata,  rifuggo da ogni logica di schieramento per andare al “sodo” culturale e tecnico delle questioni. Quando intervenni nel provvedimento, la possibilità di lauree magistrali con l’incorporazione del tirocinio era già stata scartata, con l’eccezione di Scienze della Formazione Primaria, dalla commissione Israel, ove peraltro erano presenti diverse sensibilità culturali.

Ora, TFA è in piena continuità con quelle che sono stati gli assi delle previgenti SSIS, attuate da Luigi Berlinguer, che a loro volta si attagliano alle direttive europee volte a disciplinare le “professioni regolamentate” e al dibattito internazionale sulle competenze dei docenti. Il primo asse è nella selettività in accesso, impostata sulle conoscenze disciplinari, il cui possesso è fondamentale per ogni insegnante. Il secondo asseprevede, con alterni risultati ma con apprezzabili miglioramenti, la collaborazione tra istituzioni scolastiche e accademiche nell’attuazione dei percorsi. Il terzo asse è rappresentato dall’acquisizione, nei percorsi formativi, di una “cassetta degli attrezzi” formalizzata, sia sul versante pedagogico che sul versante didattico generale e didattico-disciplinare. Il quarto asse, infine, è costituito da momenti di “tirocinio pratico” presso le istituzioni scolastiche, guidati da un tutor e “valutati” in quanto atti a verificare le reali attitudini all’insegnamento. Se poi la critica si appunta sugli errori nei test o nella scarsa qualità di alcuni percorsi, non siamo nell’ambito delle norme, ma dei comportamenti umani. Ma sulla proposta di formazione della Buona scuola tornerò dopo”.

Alla luce delle previsioni sul turn-over, è verosimile credere che possa partire dal prossimo anno un meccanismo ben oleato di concorsi? Nessun rischio che si ripresentino le vecchie dinamiche, con assunzioni bloccate e nuovo abuso del precariato da II fascia?

“Come ho più sopra accennato, non vedo problemi di sorta, almeno a livello “tecnico”. Certo, sarebbe opportuno procedere ad emanare il regolamento previsto dalla “delega Fioroni” (il che non vieterebbe interventi più incisivi attraverso una delega a un DpR modificativo del testo unico), giusto per eliminare alcune aree di contenzioso (il punteggio di soglia relativo alla preselezione, ad esempio) e per effettuare alcuni aggiustamenti. Faccio due ulteriori esempi. Attraverso quel provvedimento è possibile non solo prevedere che i concorsi post concorso 2015 (obbligatoriamente transitorio) chiudano le porte a persone non abilitate, ma che siano svolti con cadenza biennale e con termini tassativi e non più ordinatori. Certo, nulla vieta alla politica di “ritornare al passato”, ma una scansione precisa e indifferibile degli adempimenti costringerebbe a prendere una tale decisione alla luce del sole, e non a ricorrere a coperte vie o, peggio, a trovarsi intrappolati da inefficienze burocratiche”.

Che cosa la convince e che cosa non la convince della nuova formazione e del nuovo sistema di reclutamento abbozzato dal Governo?

“Sul sistema di formazione mi convincono e molto i percorsi magistrali ad hoc (lauree, ma non dimentichiamoci del settore artistico, musicale e coreutico: e dunque diplomi accademici di II livello), del resto abbozzati dal 249/2010. Mi tranquillizza che si sia pensato a una possibilità di abilitazione per i soggetti già in possesso di laurea magistrale o che maturino una vocazione tardiva o ancora che non trovino un’offerta formativa da parte degli atenei.  Si tratta di casi in cui le persone non dovrebbero, come frettolosamente detto, “rilaurearsi”, ma superare la prova d’accesso, mutuare i crediti formativi mancanti e svolgere il tirocinio (anche questa era una ipotesi, poi scartata, presente nelle bozze del 249/2010). Ho solo una perplessità, e vorrei fosse chiarito se si tratta di una “svista” o di una scelta. Il sistema prevede una separazione netta dei percorsi di competenza scolastica e accademica. Prima ci si laurea, sia pure in un percorso specialistico, poi si acquisisce l’abilitazione attraverso un semestre di tirocinio valutato da DS e insegnante “mentor”. Si rischia di scardinare, anziché rafforzarlo, l’asse costituito dalla collaborazione tra scuola e accademia, che costituisce la “prassi europea”: in tal modo la scuola rischierebbe di essere privata di momenti preziosi di interscambio e ricerca, mentre la stessa “alta formazione” ne sarebbe impoverita, perché deve proprio alle esperienze di formazione docenti l’aver ricominciato a ragionare di didattica in termini concreti e non solo libreschi.

La figura del docente “mentor” è inoltre, per come abbozzata, priva di ogni addentellato, per “portfolio” e funzioni, col sistema accademico. Nulla osta, purché ce ne sia consapevolezza. Si tratterebbe infatti di una scelta politica e culturale, non di un dettaglio tecnico “incidentale”. Siamo sicuri che, al contrario, non si debbano rafforzare i ponti tra i due tronconi dell’autostrada del sapere? E non potrebbe essere valutata l’ipotesi di prevedere che la parte di tirocinio sia già svolta nell’ambito del percorso magistrale, mettendo a frutto l’ottima prassi di collaborazione già sperimentata da quasi tre lustri da scienze della formazione primaria e per un breve periodo da Accademie e Conservatori, eventualmente separando l’esame finale di abilitazione dalla discussione di laurea? Il che implicherebbe, per gli altri soggetti, o lasciare attivo l’attuale percorso di TFA oppure prevedere il sistema di “prova selettiva, crediti specifici e tirocinio” già delineato dalla Buona scuola. All’epoca del TFA alcune associazioni, non proprio riconducibili al centro sinistra, mettevano proprio in dubbio l’apporto accademico, rivendicando la capacità della “scuola militante” (parole testuali) di gestire da sola i propri abilitati. Risposi con le stesse considerazioni di oggi.

La buona formazione è a mio avviso frutto della buona collaborazione, non dei compartimenti stagni. Che questa non sia semplice né scontata, è un conto. Che ci si rinunci, mi sembra una scelta da ponderare. La scelta delle lauree magistrali abilitanti già prevista a suo tempo dalla riforma Moratti, trova oggi l’approvazione della CGIL Scuola, che la indica tra le modifiche auspicate. Diciamo che potrebbe essere una scelta ampiamente trasversale e condivisa.

Per quanto concerne il reclutamento, l’aspetto più problematico è dato dallo svuotamento delle graduatorie. Occorre una estrema attenzione alla sua attuazione. Ci sono alcuni macrotemi da affrontare. Il primo, la diversa distribuzione geografica della “numerosità” delle GAE. Un primo provvedimento potrebbe consistere nella loro regionalizzazione, che renderebbe più razionale i processi di immissione in ruolo. Un secondo aspetto, su cui però la palla della decisione spetta alla politica, è rappresentato dagli eventuali “squilibri di organico”. Si parla, non so con quanto fondamento, dell’istituzione di una “graduatoria nazionale”, comunque difficoltosa da applicare per i “vincitori” del concorso che possiedono un particolare “status giuridico”. Se così fosse, potrebbe riguardare una sorta di “terzo stadio”, una volta effettuate le immissioni su posti vacanti e disponibili (primo stadio) e sull’eventuale contingente di organico supplementare (secondo stadio) ai fini del riequilibrio territoriale.

Sulla differenziazione tra le classi (problema che non si pone per la scuola dell’infanzia e primaria), sarebbe utile procedere intanto alla revisione delle classi di concorso, attraverso le quali già possono essere definiti accorpamenti non lesivi per la didattica. Fatto questo, è ovvio che alcune classi di concorso ben si prestano al potenziamento (e sottolineo, comunque, la parola potenziamento) dell’offerta formativa: le lingue straniere, la musica, l’economia e il diritto…;gli insegnanti tecnico pratici e gli insegnanti della tabella D, che potrebbero dare anche un significativissimo contributo sul versante dei percorsi della formazione tecnico-professionale. Ma si tratta di aspetti che, se gestiti con la logica delle “confluenze” e delle “affinità “ così come l’abbiamo vista sino ad oggi o, peggio mi sento, delle riconversioni,  condurrebbero alla catastrofe: non so per chi la scuola che ne uscirebbe sarebbe “buona”. Anche in questo settore un “cambio di passo” sarebbe necessario.

Ulteriore punto di attenzione è la composizione delle GAE, che contengono soggetti con lo stesso “status” giuridico ma con provenienze differenziate. C’è il “precario storico” e chi ha una presenza meramente “incidentale”. Non voglio fare un discorso a priori, anche se sono evidenti le possibili “difficoltà” supplementari di chi magari per venticinque anni non solo non è mai entrato in una classe, ma neppure ha più toccato un libro. Ma se si vuole evitare che l’azzeramento delle GAE si tramuti in una gigantesca procedura fuori controllo, la strada possibile del rafforzamento dell’anno di prova, a oggi per lo più declassato a un adempimento burocratico, sarebbe non solo percorribile, ma essenziale”.

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