Pedagogisti ed educatori meritano rispetto, non possono essere relegati ad “animazione socio-culturale”

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di Fabio Olivieri – All'indomani dell'ultimo passaggio in VII commissione Cultura della proposta di legge sul riconoscimento delle professionalità educative in Italia, la rete del Caffè pedagogico per voce del suo fondatore Fabio Olivieri e della dott.ssa Manuela Tomao Improta, lancia l'allarme: “Il testo approvato relega le figure del pedagogista e dell'educatore ad un ruolo di pura animazione socio-culturale”.

di Fabio Olivieri – All'indomani dell'ultimo passaggio in VII commissione Cultura della proposta di legge sul riconoscimento delle professionalità educative in Italia, la rete del Caffè pedagogico per voce del suo fondatore Fabio Olivieri e della dott.ssa Manuela Tomao Improta, lancia l'allarme: “Il testo approvato relega le figure del pedagogista e dell'educatore ad un ruolo di pura animazione socio-culturale”.

Nella seduta del 31 Marzo, infatti, termine ultimo per la presentazione di emendamenti e subemendamenti per la proposta in questione, l'impianto normativo integrato tra le pdl 2656 e 3247 presentate rispettivamente dalle parlamentari Vanna Iori e Paola Binetti, cambia pelle.

Rispetto ai contenuti previsionali di partenza, le modifiche approvate si rivelano di ordine sostanziale e non possono passare inosservate.

Nello specifico si possono ravvisare almeno 5 nodi critici qui sintetizzati:

1. Al laureato in scienze dell'educazione non viene più riconosciuta la preparazione in ambito psicologico (art.10 c.2), che rappresenta un terzo degli esami previsti dall'attuale percorso di laurea accademico . Al suo posto fa ingresso la competenza “antropologica” di cui invece l'offerta formativa del MIUR, per i laureati in questo indirizzo, conta appena uno o due esami al massimo.

Ciò, a parere del Dott. Fabio Olivieri, può significare soltanto una cosa: “annullare l'esclusività degli educatori e dei pedagogisti da tutti gli ambiti socio-educativi nei quali compaia il prefisso “psiche”, onde evitare di essere passibili di denuncia per abuso professionale da parte degli ordini locali degli psicologi, come già avvenuto in passato per le note vicende che hanno interessato i counsellors (sentenza 10289/2011).

In questo modo si profila all'orizzonte un'ipotesi sconcertante: sarà necessaria la co-conduzione anche nell'ambito del coordinamento pedagogico dei nidi ? Perché “qualcuno” (PA, MIUR, ordini professionali,etc.) con interessi in merito, potrebbe rilevare che per educare in questo settore le competenze psicologiche siano imprenscindibili e che non essendo più annoverate tra le caratteristiche del profilo professionale dell'educatore e del pedagogista, debbano necessariamente essere delegate ad altre professionalità di tipo sanitario: qual è appunto quella psicologica.

Resta inteso che il riconoscimento delle competenze apprese durante il percorso di studi non equivale a trasformare pedagogisti ed educatori in para-psicologi – insiste Fabio Olivieri -così come l'aver studiato filosofia e sociologia non ci rende tout court filosofi e/o pedagogisti. Semplicemente richiediamo, con fermezza e chiarezza di intenti, il riconoscimento di quanto previsto dallo stesso MIUR attraverso l'istituzione delle classi di laurea in scienze dell'educazione e scienze pedagogiche. Considerando inoltre che nella recente riforma della classi di insegnamento, i laureati di questi indirizzi possono accedere all'abilitazione per ‘linsegnamento della psicologia nelle scuole pubbliche italiane, proprio in virtù dei crediti formativi maturati.”

2. La disabilità. All'art.4 lett. f), emendamento presentato dalla relatrice, leggiamo quanto segue : il pedagogista e l'educatore lavorano nei “servizi per il recupero e l'integrazione”. La definizione precedente dello stesso comma parlava esplicitamente di disabilità

. Questo vuol dire, ed è confermato dalla stessa Santerini nell'intervista rilasciata ieri (1 Aprile 2016) al quotidiano L'Avvenire, che solo il profilo dell'educatore socio-sanitario sarà autorizzato a lavorare in tutti i contesti nei quali vi siano certificazioni sanitarie. “In un Paese dove, solo 15 giorni fa è stato lanciato l'allarme sulle diagnosi facili per i DSA da parte del MIUR (si legga Il fatto quotidiano on line del 15 Aprile, articolo a cura di Alex Corlazzoli) si decide di estromettere chi possiede competenze socio-pedagogiche dal quadro generale di recupero e sostegno della didattica e della formazione in apprendimento per le disabilità.

“Un vero effettoparadosso considerando che ad oggi la maggior parte dei laureati, negli indirizzi interessati dal provvedimento, opera in ambito scolastico come sostegno ad allievi con Bisogni Educativi Speciali (cd BES), di cui gli stessi disturbi dell'apprendimento – che devono essere diagnosticati e certificati da un profilo sanitario a norma della Legge 170/2010 art. 3 c.1 – fanno parte. L'educazione diventa così sanitaria e la scuola pubblica – per parafrasare Don Milani, continua Olivieri – sempre più simili ad un immenso ospedale che cura disturbi”.

3. L'apertura verso i servizi socio-sanitari (art.3; lett. c). Pur prevedendo per i laureati SDE una parentesi di operatività professionale nei contesti socio-sanitari, che quindi amplierebbe le possibilità di impiego generali, ad un'attenta lettura del disposto normativo in approvazione, si scorge quanto segue: l'educatore e il pedagogista lavorano in questi ambiti solo con “riguardo agli aspetti socio-educativi” .

“Mi chiedo perché specificarlo? La ragione è forse – prosegue Fabio Olivieri – che se venisse generalizzato l'intervento in ambito socio-sanitario, si aprirebbe l'opportunità di istituire un'ordine professionale a livello nazionale. Ipotesi scongiurata dagli stessi ordini professionali attualmente esistenti e sempre più contrastati dalle raccomandazioni EU – ma non si tratta solo di questo – la specifica emendata, pone le PA di fronte ad una scelta. Quando queste ultime si costituiscono quali Stazioni appaltanti di un servizio socio-sanitario, dovranno decidere se far accedere il profilo socio-pedagogico (che non potrà lavorare dove siano state emesse diagnosi) ovvero quello socio-sanitario (che sarà invece abilitato dall'attuale proposta di legge e dal precedente DM 520/98).

Anche nelle più rosee delle aspettive, ponendo che la libertà venga delegata all'appaltante il servizio in questione, quest'ultimo si troverà ad effettuare una scelta tra un profilo (socio-pedagogico) con competenze limitate (senza psicologia e senza discipline di aree medica) e un altro abilitato a lavorare in ogni ambito sanitario (educatore sociosanitario). Questo vorrebbe dire costringere ogni educatore socio-pedagogico a seguire il percorso interfacoltà che doveva già essere attivato nel lontano 1998”

4. Area dei servizi per l'infanzia. Art. 4 c.1 lett. b) e c). La confusione non è mai foriera di buone intenzioni. “Il precedente testo integrato Iori-Binetti, riconosceva l'operatività del pedagogista e dell'educatore nella fascia 0-6 anni. Previsione che, in qualche modo doveva anticipare il riordino, attualmente in discussione in Parlamento, sul “Sistema integrato di educazione ed istruzione 0-6 anni.

Educatori e pedagogisti avrebbero così forse ampliato la loro area di intervento nel ciclo della scuola dell'infanzia, magari attraverso percorsi di abilitazioni ad opera degli stessi Dipartimenti di Scienze della Formazione – che abilitano anche i docenti del ciclo primario. Attualmente invece, la forbice anagrafica è stata ridotta nuovamente alla fascia 0-3 anni. Mentre per i gradi successivi il nostro intervento è previsto per attività extrascolastiche e/o inerenti ambienti di apprendimento informale, almeno così si evince dall'inutile reificazione di specifica alla lettera i) del medesimo articolo. Quando sarà approvato il disegno di legge sul ciclo 0-6 anni dovremo quindi rimettere mano all'attuale disposto normativo per correggerlo? Un'assurdità”. Alla luce di quanto sopra viene da chiedersi: che senso possa avere riconoscere una nonprofessione si chiede Fabio Olivieri. “Studiare e pagare 5 anni di contributi universitari ad uno Stato che vuole riconoscere le stesse professionalità che forma attraverso il MIUR. Una legge siffatta non serve a nessuno e non potrà essere accolta favorevolmente se non introducendo gli emendamenti necessari prima del suo approdo in aula al Senato – prevista al termine dell'esame delle altre commissioni parlamentari della Camera.

“Sarebbe la morte assoluta della professione pedagogica in Italia e sancirebbe la vittoria della medicalizzazione e della settorializzazione dell'educazione umana. Invitiamo, come rete informale del Caffè pedagogico, tutti i laureati e laureandi in scienze dell'educazione e scienze pedagogiche ad esprimere con fermezza il proprio dissenso richiedendo l'introduzione delle modifiche necessarie a restituire senso e dignità alla nostre professioni. Potranno farlo scrivendo direttamente ai membri delle altre commissioni parlamentari che dovranno esaminare la proposta. I contatti dei parlamentari sono pubblici e consultabili sul sito del Parlamento”.

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