Immissioni in ruolo. Appello per la possibilità di scelta del lavoro su sostegno a scuola

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Michela Giangualano – Esiste chiaramente nel mondo scolastico italiano un'urgenza da risolvere: si deve garantire l'inclusione a scuola degli studenti con disabilità e bisogni educativi speciali.

Michela Giangualano – Esiste chiaramente nel mondo scolastico italiano un'urgenza da risolvere: si deve garantire l'inclusione a scuola degli studenti con disabilità e bisogni educativi speciali.

In molti si stanno chiedendo come migliorare le condizioni di studio e l'inserimento sociale dei bambini e degli studenti con disabilità sia negli anni di frequenza scolastica, sia nella prospettiva di un inserimento successivo nel mondo del lavoro, indispensabile per l'acquisizione di uno status sociale oltre che di una possibiità di rendersi, anche se parzialmente, autonomi.

La realizzazione lavorativa e affettiva è indispensabile per ogni essere umano, anche per chi ha difficoltà a svolgere le elementari funzioni quotidiane e non è in grado da solo di soddisfare i bisogni primari legati alla propria sopravvivenza.

La società umana deve sostenere la possibilità di miglioramento e di autodeterminazione di tutti. Non importa se qualcuno può dare di più e qualcuno può dare di meno o se qualcuno è destinato a ricevere di più e qualcuno di meno: il sostenersi reciprocamente è il segno della civiltà e della dignità dell'uomo e della sua possibilità di progresso ed evoluzione. L'educazione è fondamentale, e così la frequenza della scuola, per essere parte di un processo in divenire dove l'individuo si fonde con la sua comunità, consapevole che essa lo sosterrà, indipendentemente da ciò che si è in grado di fare o di offrire.

Ognuno deve poter essere messo nelle condizioni di poter operare delle proprie scelte di vita, fino a quando queste non ledono al prossimo. Credo che il principio debba valere sempre, per continuare ad avere un significato.

Lo Stato italiano, quando ha operato la scelta per l'integrazione degli studenti con disabilità all'interno delle scuole, ha fatto la scelta giusta: nessuno deve essere escluso dalle opportunità migliorative dell'essere umano che può dare la formazione e nessuno deve essere messo da parte: l'eccezione di oggi potrebbe divenire motivo di giustificazione dell'eccezione di domani, in una catena infinita di rimandi che non porterebbero a nulla né di buono, né di costruttivo.

Quando si inizia a escludere dalle opportunità un gruppo di persone, per sue caratteristiche proprie o acquisite, ci si dovrebbe sempre chiedere il senso della propria azione e se non si contravvenga a un principio generale, che invece conviene che venga mantenuto vivo per tutti per il bene di tutti. Ogni eccezione e ogni esclusione è giusto che venga guardata con sospetto, può essere forse momentanea, ma ci vogliono motivi molto validi per renderla definitiva.

Quando si danno delle priorità, alcune delle eccezioni possono essere giustificate da cause di forza maggiore. E' inevitabile che nell'agire programmato e nella vita quotidiana si dia la precedenza ad alcuni criteri piuttosto che ad altri. Quando si legifera, bisogna stare però molto attenti a cosa si dà priorità e con che modalità. Bisogna vedere se le eccezioni che si mettono sulla carta per essere rispettate da tutti siano basate su solide motivazioni o meno. Meno eccezioni si creano e meglio le cose funzionano. La legge è meglio applicabile, e si adegua meglio alla realtà, quante meno eccezioni produce e su quante meno eccezioni si fonda.

Tutti hanno diritto alla formazione e a frequentare la scuola, indipendentemente dalle condizioni esistenziali, psicologiche, di genere, di religione, di razza, ecc. Questo è un buon principio. Ora, bisognerebbe chiedersi se questo nuovo disegno di riforma della scuola gioverà alla formazione di tutti e a produrre una scuola migliore.

Da una parte chi è al governo dice che la riforma è necessaria per migliorare la scuola e per eliminare il problema del precariato scolastico. E' però chiaro che quella che viene proposta è una riforma più che altro di tipo organizzativo: che va a toccare i criteri di allocazione del personale scolastico, andando a frugare nel percorso formativo e di vita, ripescando a discrezione per far svolgere attività che si potrebbe non più desiderare di effettuare. Il problema del precariato non viene risolto in modo brillante da questo nuovo disegno di legge. Si intendono collocare qua e là per l'Italia gli iscritti alle Graduatorie a esaurimento, facendoli lavorare lontani da casa anche su posti che non trovano immediata corrispondenza con la classe di concorso per cui si sono abilitati. I dirigenti scolastici potranno valutare e utilizzare le risorse umane nella propria scuola, secondo i propri convincimenti, col rischio di creare clientelarismo e uniformità ideologica.

Si fa questa riforma ribadendo che sono le persone che devono cambiare, che devono muoversi, che devono essere flessibili, ma lo Stato italiano quante risorse finanziarie immetterà nella scuola? Tutto questo cambiamento non ricadrà, con elevati costi personali, principalmente sulle spalle degli operatori scolastici e in particolare degli insegnanti?

Riguardo al futuro probabile utilizzo indiscriminato che verrà fatto, grazie al disegno di legge n. 2994, degli attuali insegnanti specializzati su sostegno, vi sono molte questioni da considerare, che non giustificano la logica della "spremitura" ad ogni costo che si vorrebbe adottare.

In primo luogo si dà ormai sempre per assodato che chi ha preso la specializzazione lo abbia fatto per particolari interessi personali (far punteggio, entrare in ruolo, ecc): questo non è vero! C'è chi ha preso la specializzazione perché aveva, ed ha ancora, a cuore la questione dell'insegnamento ai diversamente abili e desiderava (e desidera) seriamente aiutare i bambini in difficoltà. Molti, acquisendo la specializzazione, non credevano neppure che avrebbero lavorato da lì in avanti tutti gli anni su sostegno, visto che non era inizialmente nota la carenza di posti che si sarebbe verificata da un certo momento in avanti.

Non è giusto comunque condannare nessuno che abbia scelto di far sostegno per motivi diversi da quelli considerati più "nobili". E' ragionevole il fatto che molte insegnanti donne si siano specializzate su sostegno sia per poter semplicemente lavorare (al Sud c'è infatti grande carenza di disponibilità di lavoro per il genere femminile), sia per non staccarsi dalle proprie zone di residenza e continuare ad avere una vita famigliare.

Non sempre l'ottenere la specializzazione ha influito sul punteggio in GaE, perché in molti casi chi ha lavorato su sostegno avrebbe potuto tranquillamente lavorare anche su posti di materia altrettanto disponibili (questo soprattutto in alcune regioni del Nord Italia e per certi ordini di scuola). Ciò per sgombrare il campo da tutte le generalizzazioni, perché raffigurare gli insegnanti specializzati in didattica speciale come figure di inarrestabili arrivisti, quando invece molti, nel dedicarsi al sostegno, non avevano retropensieri di sorta, è quantomeno deleterio, anche in funzione della motivazione a intraprendere questa carriera da parte di nuovi insegnanti.

Se poi qualcuno ha fatto punteggio grazie a questa specializzazione, facendo un lavoro che sembra che quasi nessuno voglia fare per scelta, ciò non è da considerare in termini negativi. Fare l'insegnante di sostegno è un modo per acquisire professionalità e aiuta a vedere gli studenti da una nuova prospettiva, che tiene conto non solo delle difficoltà e dei meriti individuali, ma anche dei potenziali nascosti delle persone e delle capacità di resilienza (sia di chi aiuta, sia di chi è aiutato): mettersi in gioco nel trovare soluzioni per migliorare l'apprendimento e la socializzazione degli studenti disabili è una scuola di vita per tutti.

Tanto merito quindi a chi ha dato sostegno ai ragazzi disabili, quando altri insegnanti storcevano il naso al solo pensiero: è normale che questi insegnanti abbiano fatto punteggio, come qualsiasi altro insegnante della scuola, del resto, vista l'utilità del loro lavoro (anche se il punteggio accumulato fino ad ora non sembra contare più molto, dal momento che tanto si verrà scelti dai dirigenti e secondo logiche estranee da quelle utilizzate fino ad ora).

In secondo luogo c'è da considerare come vengono trattati gli insegnanti di sostegno a scuola: la risposta è male, se non, in alcuni casi estremi, malissimo. Ci sono colleghi con cui si lavora bene, ci si stima reciprocamente e c'è collaborazione, e ci sono invece colleghi che pensano che gli insegnanti di sostegno non siano veri insegnanti e che è meglio che non mettano parola su nessuna questione, anche didattica, che si presenta in classe, salvo poi demandare ai docenti di sostegno ogni questione spinosa o antipatica che non riescono o non vogliono gestire e salvo farsi sostituire in supplenza a seconda dei loro "impellenti bisogni".

Proprio perché è estenuante confrontarsi ogni giorno, non in situazione di "parità", con persone talora autocentrate e "pesanti" sotto vari punti di vista, a un certo punto ci si può stancare di svolgere questa professione, che finisce per stigmatizzare le persone (anche per via di tanti pregiudizi sulle motivazioni che portano a intraprendere questa carriera). Non ultimo motivo per la disaffezione è che non si viene messi nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro al meglio…

In terzo luogo, sta per essere varata la riforma del sostegno e nella proposta c. 2444 c'è scritto a chiare lettere che chi si troverà su sostegno, nel momento in cui sarà varata la riforma, dovrà transitare in classe di concorso separata (fino ad oggi non sono infatti state apportate modifiche ufficiali a questo punto, nonostante sporadiche dichiarazioni in tal senso).

Se passerà il principio della priorità assoluta di tutti gli specializzati (interno o esterni alla scuola) sulla copertura dei posti di sostegno, questo per molti, al di là di aspirazioni, intendimenti e propensioni personali, significherà svolgere il lavoro di sostegno a vita (o quasi), anche se il lavoro inizialmente scelto non lo si vuole fare più, anche se non si è più in grado di svolgerlo (magari per burn out o problemi fisici sopravvenuti), anche se scomparissero le ragioni che hanno portato a specializzarsi (come la possibilità di esercitare la professione di insegnante nella propria zona di residenza), anche se si possiedono miriadi di abilitazioni o idoneità per ricoprire in modo professionale altri ruoli nella scuola…

In quarto e ultimo (ma non per importanza) luogo, in generale non si dovrebbe obbligare nessuno a svolgere un lavoro che per qualsiasi motivo non si desidera fare, soprattutto se delicato come quello di sostegno, perché la motivazione e la determinazione personale nel svolgere le professioni di aiuto è garanzia di qualità nel produrre i risultati di quell'inclusione che costituirebbe, almeno a parole, il fine ultimo dell'assegnazione di personale specializzato a determinate classi.

Il prezzo da pagare, per una persona che non voglia però più ricoprire l'incarico di sostegno, non può divenire l'estromissione totale dal mondo della scuola (abbandono del lavoro di insegnante o mancata assunzione), anche per il fatto che una specializzazione in didattica speciale, nella maggior parte dei casi, fino ad oggi la si è presa in corsi della durata variabile da 8 mesi a 2 anni (in rari casi 3), laddove il percorso formativo per diventare insegnanti può invece aver comportato un periodo variabile di studio dai 4 ai 6 anni circa (e spesso anche di più): non ha senso che una così piccola parte del percorso formativo di una persona vada a sconvolgere in maniera così determinante un duro impegno di anni ai fini di formarsi come insegnanti.

Una specializzazione presa in poco tempo, e in fondo a scatola chiusa, non può essere considerata elemento dirimente di una scelta consapevole di voler svolgere una carriera lavorativa intera nell'ambito del sostegno (cosa sostenuta anche da esponenti della FISH, in più occasioni). Personalmente sono favorevole a un allungamento temporale dello studio della pedagogia e didattica speciale, anche se non sono favorevole al percorso completamente separato né delle carriere, né del percorso di studio per divenire insegnanti.

Aggiungo inoltre che il discorso di chi dice: "sacrifichiamo pure gli specializzati di sostegno per far posto in queste immissioni straordinarie ad altri abilitati o anche solo idonei all'insegnamento" non regge pure per altri motivi. Qua si chiede di immettere su posti di materia o di potenziamento, sottraendo la stessa possibilità di collocazione agli specializzati su sostegno, una consistente quantità di aspiranti insegnanti che sapevano benissimo che le loro abilitazioni non avrebbero portato alla loro assunzione per almeno un altro decennio. Molti specializzati su sostegno hanno invece avuto modo di entrare nella scuola con continuità in questi anni, conoscendone le dinamiche, facendo del lavoro a scuola il loro mestiere, quando invece alcune persone che stanno per essere assunte (per grazia ricevuta) o non sono mai neppure entrate in una scuola, se non per studiarci (svolgendo nel frattempo altri lavori per vivere), o hanno svolto il mestiere dell'insegnante con una tale sporadicità, che non si possono neanche considerare dei veri precari della scuola… Perchè dare l'opportunità di accedere alll'insegnamento disciplinare agli uni sì e agli altri no?

Il fatto è che questa riforma e queste assunzioni straordinarie sconvolgono la vita e le aspirazioni delle persone in un modo molto forte e anche molto devastante, in modo trasversale. I sacrifici non si fanno sulla pelle degli altri: basta con gli "armiamoci e partite!" I familiari degli studenti disabili sanno che con l'appicazione del nuovo disegno di legge in discussione molti supplenti specializzati nel sostegno del Sud Italia (oggi in GaE) saranno obbligati a trasferirsi al Nord non volontariamente per almeno tre anni? Anche gli insegnanti hanno famiglia e affetti da coltivare…

Inoltre anche per molti specializzati su sostegno il sacrificio di fare un lavoro che non piace completamente è in questi anni già stato fatto. Non chiediamo alle persone di più di quello che possono dare… Il senso del mestiere di insegnante di sostegno va rinnovato giorno per giorno a contatto con i propri alunni: non può essere imposto per legge. Gli insegnanti di sostegno demotivati sono poco proficui e non servono alla scuola. Non commettiamo ulteriori errori… Almeno su questo punto non eravamo tutti d'accordo?

Piuttosto si dia più possibilità di specializzarsi e di provare di persona (con tirocini seri) se questa professione sia adatta o meno alle caratteristiche di personalità di chi la intenta e soprattutto si facciano concorsi specifici che valutino in modo più equilibrato gli spiranti docenti e per il numero di posti che serve effettivamente al funzionamento della scuola…

Soprattutto non dimentichiamoci che il DDL non risolve il problema della copertura di tutti i posti di sostegno necessari, proprio per mancanza di specializzati e perché continua a far riferimento all'organico del 2006/2007. Si dovrà comunque ricorrere ai supplenti per la copertura dei posti in deroga, che saranno più di 20.000, secondo stime attendibili. Infatti la sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 22 febbraio 2010 aveva dichiarato illegittimo fissare un numero massimo dei posti degli insegnanti di sostegno, che qui viene, facendo rimando alla normativa del 2013, rifissato al 100% dei posti di sostegno complessivamente attivati nell'anno scolastico 2006/2007 (infatti nell'art. 6, comma 5 del DDL si dice che "L'organico per i posti di sostegno rimane determinato ai sensi dell'articolo 15 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128). Di conseguenza con l'attuale proposta normativa, che fa riferimento alla legislazione vigente, si assegnano non i posti necessari per l'anno scolastico 2015/2016, bensì i posti che sarebbero stati necessari ben 9 anni fa, mentre nell'art. 2 dello stesso Disegno di legge si sostiene che il fabbisogno dei posti di sostegno andrebbe determinato in base al numero degli alunni con disabilità, facendo credere che si stia facendo riferimento all'attuale bisogno.

Per concludere: perché limitare la scelta professionale della carriera lavorativa più adatta per se stessi ai soli insegnanti specializzati in attività didattiche aggiuntive (ovvero sostegno)? E perché "deportare" personale che potrebbe essere utilizzato in prossimità della propria residenza? Perché non dare a tutti possibilità di scelta ragionevoli riguardo a cosa fare della propria carriera lavorativa? Perché in nome del diritto all'inclusione (sacrosanto) degli studenti disabili, si toglie il diritto alla realizzazione professionale, in tutti gli ambiti in cui si è acquisita l'abilitazione, degli specializzati anche (e non solo) in didattica speciale? L'esclusione dalle regole generali di assunzione di questa categoria di lavoratori è una brutta eccezione: non può essere assoluta e va regolamentata meglio, altrimenti gli studenti disabili da settembre si troveranno a relazionarsi con persone demotivate e sfiduciate a causa della loro particolare esclusione dagli stessi diritti che ad altri vengono garantiti, ovvero di poter competere con il loro punteggio per i posti disponibili su materia. Un insegnante specializzato, obbligato a coprire il posto di sostegno lontano da casa e senza possibilità di scelta professionale, potrà garantire la qualità dell'inclusione scolastica? Lascio che ognuno trovi dentro di sé la propria risposta…

Appello al Presidente della Repubblica per fermare l'ingiusto ed illogico provvedimento della Buona Scuola che obbligherà i futuri docenti immessi in ruolo ad accettare l'assunzione prioritaria sul Sostegno.

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