E’ diritto del lavoratore visionare il proprio fascicolo personale e conoscere i criteri di “valutazione”

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Il caso che ora segue riguarda uncontenzioso emerso nel settore privato, ma i principi come enunciatisono ben estendibili anche al settore del Pubblico Impiego ed ovviamente nella scuola.

Il caso che ora segue riguarda uncontenzioso emerso nel settore privato, ma i principi come enunciatisono ben estendibili anche al settore del Pubblico Impiego ed ovviamente nella scuola.

Una lavoratrice, dopo avere inutilmente chiesto ripetutamente all'azienda di poter accedere al proprio fascicolo personale ai sensi dell'art. 13 della legge n. 675 del 1996e successive modifiche ecc, in assenza di risposta da parte della datrice di lavoro, si è prima rivolta al Garante per la protezione dei dati personali e non avendo ricevuto dalla sua azienda alcuna comunicazione (secondo quanto prescritto dal Garante) ha proposto ricorso in sede giurisdizionale.

L'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675del 1996 come modificata dal Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175e 1375 cod. civ., come, del resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei settore in oggetto prevede che l'azienda datrice di lavoro debba conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti e i documenti, prodotti dall'ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso professionale, all'attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha diritto di "prendere visione liberamente degli atti e documenti
inseriti nel proprio fascicolo personale".




Per i Giudici sussiste il diritto soggettivo del lavoratore diaccedere al proprio fascicolo personale e tale diritto è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro (arg. ex Cass. SU 4febbraio 2014, n. 2397).

L'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675del 1996 (nella specie applicabile ratione temporis), deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod.civ., come, del resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei diversi settori prevede* che i datori di lavoro debbano conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti e i documenti, prodotti dall'ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso professionale, all'attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale

Ciò non esclude- ma anzi rafforza – il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali tutte le volte in cui intenda ottenere, in tempi ragionevoli, alcuno dei provvedimenti – dinatura provvisoria o definitiva – previsti dall'art. 13 della leggen. 675 del 1996 cit. al fine di ottenere, ad esempio, l'integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, che attestino valutazioni di merito o che comunque a suo avviso rilevino in ogni caso, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni.

E sempre per la Cassazione, con la sentenza 6775 del 2016, il diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti di ottenere che le valutazioni datoriali su rendimento e capacità professionale, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt.1175 e 1375, cod. civ., oltre che della inerente necessaria trasparenza può essere fatto valere in sede giudiziaria – pure a prescindere da un immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore – onde ottenere il controllo da parte del giudice della conformità del procedimento seguito per la formulazione delle suindicate valutazioni ai suddetti parametri, gravando sul datore di lavoro l'onere di motivare le note di qualifica medesime, per permettere lo svolgimento di tale controllo giudiziale, il quale non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo.

Sicché esso richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa (Cass. 20 giugno 2003, n. 9898;(Cass. 9 gennaio 2001, n. 206; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450),comportando la violazione del suddetto obbligo datoriale la conseguenza, che, la valutazione stessa debba ritenersi non avvenuta (Cass. 22 agosto 2001, n. 11207).

I principi come espressi in questa seconda ipotesi saranno utili non appena entrerà a regime il noto comitato di valutazione, e per gli eventuali contenziosi che ne deriveranno.

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