DSA e studio del latino: come approcciarsi?

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Di Rossana Gabrieli –  Cosa succede se lo studente con Disturbo di Apprendimento si ritrova a studiare una lingua come il Latino, per la quale non esiste la possibiità di cimentarsi in un contesto comunicativo e orale?

Di Rossana Gabrieli –  Cosa succede se lo studente con Disturbo di Apprendimento si ritrova a studiare una lingua come il Latino, per la quale non esiste la possibiità di cimentarsi in un contesto comunicativo e orale?

Si parla spesso delle problematiche incontrate dagli studenti con Disturbo Specifico di Apprendimento nello studio delle lingue straniere e molti sono i libri dedicati a questo argomento; soprattutto lo studio della lingua inglese è messo al centro dell’interesse degli esperti, per il suo carattere veicolare a livello comunicativo nell’attuale contesto di piena globalizzazione e per il rilievo che assume anche a livello di utilizzazione in ambito professionale.

Anche la normativa ha dedicato un’attenzione specifica al tema della complessa relazione DSA-lingue straniere, arrivando a prevedere la possibilità della richiesta di esonero o dispensa per gli studenti certificati ai sensi della legge 170/2010 e sottolineando come, di fronte a difficoltà persistenti nello studio della forma scritta della lingua 2, sia possibile privilegiare lo studio e la valutazione della forma orale della medesima disciplina. E fin qui niente di nuovo.

Ma cosa succede se lo studente con Disturbo di Apprendimento si ritrova a studiare una lingua come il Latino (e, a seguire, il Greco), per le quali non esistono altrettante opportunità di cimentarsi in contesto comunicativo orale? Il ricorso allo strumento grammaticale come canale privilegiato di studio della lingua classica sembrerebbe aggravare ulteriormente la possibilità del suo apprendimento.

Tuttavia, se si vuole guardare al rovescio della medaglia, si può trovare un punto di forza nella somiglianza lessicale ed nella comune trasparenza che italiano e latino sicuramente possiedono. C’è poi da aggiungere un’ulteriore riflessione: lo studio della lingua latina, così come quello della lingua greca è “relegato” alle scuole secondarie di secondo grado (i licei), mentre, laddove si anticipa alla scuola secondaria di primo grado, si tratta di sperimentazioni o laboratori in orario extrascolastico, di solito frequentati da studenti che prevedono di iscriversi, poi, al Liceo Classico.

Ma, al di là di sporadiche situazioni, gli studenti si accostano allo studio delle lingue classiche intorno ai 14 anni, dunque ad un’età in cui le altre lingue straniere sono state già studiate, ascoltate ed affrontate in diversi contesti e modalità.

Sebbene un quattordicenne non possa definirsi adulto, non possiamo, però, neanche affermare che non si sia già formato una sua modalità di studio, uno stile di apprendimento. Scriveva J. Mezirow: “…In quanto discenti adulti, siamo prigionieri della nostra storia personale. Per quanto abili a dare un significato alle nostre esperienze, tutti noi dobbiamo partire da ciò che ci è stato dato e operare entro gli orizzonti fissati dal modo di vedere e capire che abbiamo acquisito attraverso l’apprendimento pregresso”.

Anche Littlewood insiste sulla necessità, nell’apprendimento delle lingue straniere, di metterle in relazione con le conoscenze fonologiche, lessicali, ortografiche e semantiche pregresse specifiche della propria lingua madre, accogliendo, all’inizio, eventuali errori dovuti alle differenze sintattiche, che danno luogo, in modo naturale, a configurazioni completamente diverse, attraverso quello che si definisce “processo di transfer”.

L’insegnante accoglierà, come parte del processo di apprendimento, invitando a riflettere e rielaborandolo, l’errore che, altresì, si verifica secondo processi di semplificazione ed imitazione: nel primo caso, vengono eliminate parti del discorso, come se fossero irrilevanti e, nel secondo caso, si assiste all’uso di frasi fatte o sentite da altri.

In ciò, dunque, lo studente “osa” rompere il ghiaccio del limite sconosciuto della nuova lingua, temuta come ostica, sapendo che l’errore farà parte significativa e necessaria del percorso di apprendimento.

(Rivista BES e DSA in classe)

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