Concorso scuola docenti: assenza di quesiti a carattere linguistico nella prova di lettere. Che tipo di formazione si richiede agli insegnanti?

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Il concorso scuola ha fatto certamente discutere, come tutti i concorsi di una certa portata è stato caratterizzato da diversi contenziosi, critiche e riflessioni. 

Il concorso scuola ha fatto certamente discutere, come tutti i concorsi di una certa portata è stato caratterizzato da diversi contenziosi, critiche e riflessioni. 

Una delle più particolari è sicuramente quella effettuata da parte dell'Accademia della Crusca. In una recente nota rilevache “il 2 maggio 2016 si è svolta la prova del Concorso docenti per le cattedre delle materie letterarie nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Pochi giorni dopo un documento, sottoscritto dai membri del Direttivo dell'ASLI e della Giunta dell'ASLI Scuola, e inviato al MIUR, lamentava l'assenza di quesiti di carattere linguistico in quella prova, peraltro carica di domande.

Dopo aver pubblicato il documento sulle pagine della  sezione “Notizie” di questo portale  e del  sito CruscaScuola , ci pare opportuno riproporne gli argomenti nel nostro angolo di discussione con i lettori per confrontarci con la loro opinione.

”  Cosa si evidenzia in detto documento? ”

Il mancato riconoscimento del valore di una competenza linguistica piena emerge in modo lampante dalla struttura della prova per la selezione dei futuri docenti, nella quale è stato concesso spazio unicamente a domande volte a saggiare la conoscenza storico-letteraria dei candidati.

Tale disparità di trattamento appare come una spia della più generale, tradizionale e ancor oggi diffusa confusione tra studio della letteratura e studio della lingua. Una confusione di cui fa le spese proprio lo studio di quest'ultima: entrambe le discipline, infatti, parimenti identificate nelle aule scolastiche con il nome di Italiano, di fatto vengono insegnate e apprese in modo molto diverso; nella pratica quotidiana, l'attenzione dedicata alla letteratura sovrasta nettamente quella riservata all'analisi della lingua, la cui conoscenza, specialmente negli istituti superiori, è data incautamente per assodata.

Il progressivo contrarsi del valore riconosciuto alle competenze linguistiche dei futuri professori e studenti suscita particolare stupore se accostato alla recente istituzione della classe di concorso per l'insegnamento dell'italiano agli stranieri, per la quale il Ministero ha invece riconosciuto la necessità di un percorso di formazione specifico: le competenze linguistiche, la capacità di analizzare la propria lingua da un punto di vista critico e di riconoscerne le strutture e le varietà, e infine la capacità di trasmettere tutto questo a chi apprende non sembrano essere richieste allo stesso modo, dunque, a chi insegna italiano agli studenti stranieri e a chi lo insegna agli studenti italiani.

Quasi paradossalmente, nella stessa prova di concorso, è stato dedicato – in proporzione – molto spazio all'accertamento delle competenze linguistiche relative alle lingue straniere: una scelta condivisibile, ma che mette ancor più in evidenza la gravità dell'assenza dei quesiti linguistici relativi alla lingua materna. 

Da molti anni l'ASLI, l'Accademia della Crusca e altre associazioni si impegnano per valorizzare l'importanza di una formazione scolastico-universitaria capace di fornire, attraverso la riflessione fondata sull'analisi dei documenti e la storia della lingua, adeguati strumenti metodologici e concettuali per la comprensione dei testi.

L'Accademia della Crusca, in particolare, organizza da anni corsi di formazione per docenti di tutti gli ordini di scuola, collabora con le classi alla messa a punto di materiali didattici, interviene con progetti formativi negli istituti che ne fanno richiesta, intrattenendo così un  costante dialogo con il mondo della scuola .

Tale impegno è profuso nella convinzione che questi strumenti siano indispensabili alla formazione di cittadini consapevoli, prima che di studiosi e umanisti. Può la scuola italiana dimenticarsi questo obiettivo?

” Come rilevanti sono le critiche sollevate dall'ASLI  lì ove si afferma senza mezze misure che “ci si è preoccupati di inserire tra le prove di coloro che sono destinati a insegnare discipline letterarie quesiti volti a verificare la conoscenza delle lingue straniere, ma ci si è dimenticati di valutarne la capacità di riflettere e far riflettere sulla propria lingua, di riconoscere e far riconoscere agli studenti le sue strutture, di modulare e insegnare a modulare varietà e registri in rapporto alle diverse situazioni comunicative. Non mettiamo in dubbio quanto importante sia oggi la conoscenza delle lingue straniere, ma chi sarebbe oggi in grado di negare che una salda conoscenza dell'idioma materno è il requisito cognitivo fondamentale per l'apprendimento di ogni altra lingua?”.

Sicuramente in Italia vi è un problema serio in merito alla conoscenza della lingua madre. Da un lato per “colpa” della globalizzazione, dall'altro per colpa di quel semplicismo, di quella estrema sintesi propria del mondo dei social network che ha semplicemente svilito la nostra lingua.

Basta fare un giro nel mondo dei social per leggere gli orrori che vengono spesso compiuti, per non parlare del fatto che oramai il dizionario non viene più utilizzato, perché sostituito dalle applicazioni dei programmi di scrittura che con automatismi provvedono ad intervenire lì ove necessario. Ci si affida totalmente “alla macchina”con tutte le conseguenze del caso.

Insomma, non è detto che l'introduzione della tecnologia sia solo un bene, ma anche un male se non emerge un giusto equilibrio e questo equilibrio deve partire dalla scuola che deve fare scuola. Ma la buona scuola non pare andare in questa ottica, favorendo più un processo semplicistico finalizzato alla maturazione di determinate competenze da spendere nel mercato globale del lavoro, che quello essenziale della conoscenza.

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