Concorso a cattedra, cronaca di un fallimento annunciato. Lettera

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Tutto ha avuto inizio il 7 febbraio 2016 quando il Premier Renzi, in un intervento pubblico, ammette tra lo stupore generale: “sulla scuola abbiamo fatto qualche pasticcio”.

Tutto ha avuto inizio il 7 febbraio 2016 quando il Premier Renzi, in un intervento pubblico, ammette tra lo stupore generale: “sulla scuola abbiamo fatto qualche pasticcio”. Purtroppo, però, subito dopo aggiunge: “in settimana una delle cose che dobbiamo fare è scegliere con la Ministra Giannini il modello di concorso che porterà 63.217 persone in cattedra".

Visto il modello di concorso scelto, adatto per selezionare i migliori docenti “dattilografi” italiani e gli effetti nefasti provocati da questa decisione scellerata, forse sarebbe stato meglio fermarsi “a qualche pasticcio”. Un concorso pensato non per selezionare ma per eliminare e che ha sortito l’effetto sperato: “risolvere” il problema dei docenti precari mediante un’epurazione mascherata.

Un format da quiz televisivo nel quale il fattore tempo è stato l’elemento discriminante. Un modello di concorso che già prima di essere scelto dal Premier e dalla Ministra Giannini (7 febbraio 2016) aveva già violato la L. 107/2015 (“Buona Scuola”) scritta da loro stessi, che al Comma 114 recita: “il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ferma restando la procedura autorizzatoria, bandisce, entro il 1º dicembre 2015, un concorso per titoli ed esami per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni scolastiche ed educative statali”. Uno sforamento dei limiti fissati per legge, che poi si è dilatato ben oltre i due mesi, di certo non imputabile alla “procedura autorizzatoria” visto che a febbraio non avevano ancora deciso il modello di concorso. Da quel momento in poi è stata una folle corsa contro il tempo per tentare l’impresa disperata di rientrare negli strettissimi tempi tecnici necessari per l’immissione in ruolo dei vincitori del concorso e non disattendere, così, la pomposa promessa più volte sbandierata con orgoglio dal Premier e dalla Ministra Giannini: “a settembre in cattedra 63mila nuovi giovani prof., statisticamente un candidato su tre!”. E come si sa “la fretta è una cattiva consigliera”.

Prima che il concorso venisse bandito, molti docenti precari già selezionati, valutati e abilitati all’insegnamento mediante percorsi ministeriali hanno sottolineato l’assurdità di dover essere sottoposti a nuova selezione e valutazione dopo che gli stessi organi ministeriali li avevano formati e dichiarati idonei a svolgere la funzione di docenti. D’altronde, lo stesso Governo sembrava consapevole di non essere stato votato ed eletto per riformare l’istruzione pubblica, e per questo aveva indetto una grande consultazione sul web, denominata “Diventare insegnanti – Proposte” e coordinata dalla segreteria tecnica del Miur, con l’obiettivo dichiarato di “Raccogliere sollecitazioni puntuali su abilitazione e concorso”. Una messa in scena, visto che poi hanno scelto di fare di testa loro, incuranti di quanto proposto dai tantissimi docenti intervenuti nel sondaggio ed il risultato è sotto gli occhi di tutti. La risposta alle rimostranze dei docenti abilitati ovviamente non si è fatta attendere.

Il Premier Renzi e la Ministra Giannini hanno mentito più volte pubblicamente dichiarando “che bisognava cambiare la Costituzione per immettere in ruolo i docenti abilitati non vincitori di concorso” rifacendosi a quanto indicato nell'art. 97 Cost. che prevede l'assunzione previo concorso nella Pubblica amministrazione. Hanno mentito perché sapevano benissimo che in passato, mediante una semplice legge ordinaria (L. 306/2000), si è attribuito a posteriori valore concorsuale ai percorsi di abilitazione SSIS in modo da allinearsi ai dettami costituzionali. Questo ha permesso a moltissimi colleghi “semplici” abilitati, non vincitori di alcun concorso (tra cui anche la moglie del Premier), di essere immessi in ruolo grazie al Piano straordinario assunzioni del 2015 attuato proprio da questo Governo nell’ambito della Riforma della scuola. Sarebbe bastata, quindi, una semplice legge ordinaria per sanare una situazione disparitaria e rispettare la Direttiva comunitaria 2005/36/CE che prevede l’equipollenza dei titoli di abilitazione.

Questo, inoltre, avrebbe evitato il gigantesco sperpero di denaro pubblico utilizzato per organizzare un Concorso presentato come una delle più grandi innovazioni nella storia dei concorsi pubblici e che invece si è rivelato, dati alla mano, un colossale flop. Tra l’altro, se proprio volevano, potevano bandire un Concorso per soli titoli, modalità prevista dalla normativa di riferimento dei concorsi per la Pubblica Amministrazione, rispettando nel contempo quanto previsto nei dettami costituzionali e risparmiando una montagna di soldi pubblici. Allora cosa ha spinto a voler organizzare a “tutti i costi” (termine quanto mai calzante) un Concorso di questa portata?

Non ci è concesso saperlo. Sicuramente appare singolare che la gestione informatica di questa “svolta innovativa” sia stata nuovamente affidata ad un consorzio, il Cineca, che già in passato si è dimostrato inaffidabile nel garantire la perfetta funzionalità delle procedure concorsuali informatizzate e che, anche nell’attuale concorso, ha messo in luce una serie di malfunzionamenti definiti a più riprese dalla Ministra Giannini “meri errori tecnici”. Questo Concorso, inoltre, si prefiggeva di “selezionare i migliori docenti italiani della scuola del futuro”, come più volte sottolineato con enfasi dalla Ministra Giannini. Oltre alle modalità assurde di cui si è già parlato, vale la pena sottolineare che per perseguire questo prestigioso obiettivo non c’è stata nessuna selezione a monte dei commissari chiamati a svolgere questo delicatissimo compito. Anzi, è andata in scena una vera e propria “corsa all’acquisto” dell’ultima ora per raccattare alla spicciolata almeno un numero minimo di commissari, inviando richieste e solleciti a tutti, indistintamente. Addirittura, a concorso in pieno svolgimento, il Miur è stato costretto ad emanare con urgenza un’ordinanza (O.M. n. 571 del 14 luglio 2016) per modificare in itinere i criteri di formazione delle commissioni giudicatrici per far fronte alla carenza di commissari a disposizione.

Questo fa capire una volta di più la superficialità e la noncuranza nell’organizzazione di questo gigantesco pasticcio. Inoltre, il giorno dell’inizio delle prove scritte, molte commissioni erano ancora incomplete e purtroppo all’appello mancavano anche le griglie di valutazione. Il Miur si è giustificato per questa dimenticanza sostenendo che non serviva presentarle in anticipo in quanto era scontato che fossero le stesse dei precedenti concorsi, come quello del 2012. Ma come, per un concorso presentato come “svolta epocale” riguardo le modalità e i contenuti dei quesiti delle prove vengono utilizzati gli stessi criteri di valutazione di concorsi precedenti basati su prove scritte di carattere puramente nozionistico e con tutto il tempo a diposizione dei candidati per rispondere ai singoli quesiti? Inoltre, alcune di queste griglie di valutazione posticce di derivazione 2012 sono state personalizzate liberamente dalle commissioni delle varie Regioni riguardo ai pesi da attribuire agli indicatori. Si è creato così il paradosso che un candidato potesse essere valutato non idoneo all’insegnamento oppure tra i migliori docenti della scuola del futuro a seconda della Regione scelta in cui svolgere le prove.

La pura casualità non può essere “criterio di selezione” in un concorso che abbia una parvenza di equità. Se poi ci si addentra nei meandri delle procedure espletate nelle diverse Regioni, ci si accorgere che l’unica costante che ha contraddistinto questo concorso è stata il caos. Da nord a sud, dalla Sicilia al Piemonte, una sequela di errori ed orrori procedurali e di irregolarità: codici dei candidati smarriti o scambio dei codici, violazioni dell’anonimato, griglie irregolari, prove non rispondenti ai requisiti del bando. Addirittura la comunicazione del superamento delle prove a persone che non hanno partecipato al concorso. Oppure il caso più emblematico di candidati che, dopo aver superato tutte le prove con tanto di stretta di mano e congratulazioni da parte della commissione, sono stati informati che in realtà non dovevano svolgere l’orale perchè non avevano superato lo scritto! Sembrano barzellette ma purtroppo è la triste realtà dei fatti. In un Paese normale i responsabili di tutto questo avrebbero già rassegnato le dimissioni o quantomeno fatto pubblica ammenda. In un Paese normale sarebbe intervenuta in modo deciso la politica per sfiduciare in Parlamento i responsabili di questa farsa nazionale. In un Paese normale i sindacati della scuola sarebbero intervenuti compatti in difesa della categoria.

Ma il nostro non è un Paese normale e l’unico modo per essere tutelati è ricorrere alle vie legali a proprie spese. Ed è quello che sta accadendo attraverso un’infinità di ricorsi. Come prevedibile sin dalle premesse, le conseguenze di questo concorso si protrarranno ben oltre la conclusione delle procedure. E a rimetterci, come sempre, saranno sempre gli stessi, cioè coloro che hanno avuto una sola “colpa”: la sfortuna di essere nati in un Paese dove i diritti dei semplici cittadini vengono continuamente calpestati. Ma la cosa forse ancor più triste è vedere le diverse categorie di docenti completamente disunite anche di fronte alla totale delegittimazione in atto dell’intero corpo insegnante. Una “guerra tra poveri” in nome del proprio misero tornaconto mentre fuori, tutt’intorno, procede spedita e indisturbata l’opera di disfacimento della scuola pubblica italiana.

Ugo Donatelli – Vivona 

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