Appello dei Docenti del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria contro il DDL Scuola

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Onorevoli Deputati e Senatori, siamo docenti del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi della Calabria. Come cittadini e come professori intendiamo manifestarvi la nostra contrarietà alla "riforma" scolastica proposta dal Governo.

Onorevoli Deputati e Senatori, siamo docenti del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi della Calabria. Come cittadini e come professori intendiamo manifestarvi la nostra contrarietà alla "riforma" scolastica proposta dal Governo.

Riprendiamo l’Appello promosso dai nostri colleghi di Lettere dell’Università di Roma “La Sapienza” e Vi indichiamo, in estrema sintesi, soltanto le principali ragioni del nostro dissenso, mentre vi chiediamo un incontro per una discussione più approfondita.

1) L'attribuzione al Dirigente scolastico di un'autorità che vada oltre gli aspetti organizzativi, per toccare addirittura la chiamata e la conferma del docente nel suo ruolo professionale, lederebbe il principio costituzionale della libertà di insegnamento (art. 33: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»). La “chiamata diretta” dei docenti vanificherebbe inoltre i percorsi formativi e valutativi attualmente in atto (in cui l’Università è coinvolta), non escluso il risultato dei concorsi (tutelato in linea di principio dall'art. 97 della Costituzione).

2) L'evidente incentivo a concentrare i docenti "migliori" nelle scuole “migliori” per gli studenti “migliori” (in concreto: di famiglie più abbienti, disponibili a sostenere le scuole con i loro soldi) – e di conseguenza a concentrare i docenti "peggiori" nelle scuole peggiori per gli studenti “peggiori” – appare in contrasto con l’art. 3 della Carta: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

3) La "riforma" mostra di ignorare che, nonostante il costante definanziamento e i disordinati interventi governativi degli ultimi anni, quella italiana è ancora una "buona", spesso "ottima" scuola. Lo dimostra il fatto che studenti formatisi in Italia (fra medie superiori e Università) trovano spesso agevolmente lavoro all'estero, vincendo la concorrenza locale e trasferendovi con successo le proprie competenze. L'appiattimento su standard gestionali e formativi di livello genericamente "europeo" sancirebbe invece il definitivo arretramento della competitività del diplomato/laureato italiano a livelli meramenti locali.

4) D'altro canto, tutti gli indicatori e i test valutativi provano che la "media" italiana risulta da dati profondamente squilibrati, fra regioni centro-settentrionali (allineate ai valori delle grandi nazioni europee) e regioni centro-meridionali. La diseguaglianza dei risultati non dipende quindi dall'ordinamento interno, ma da fattori decisivi e profondamente diversificati generati dal contesto sociale ed economico. Lo schema del Preside-manager e della competizione fra istituti opererebbe in senso negativo, come un moltiplicatore delle diseguaglianze e dei fallimenti scolastici. Tale schema non risponde alle finalità di promozione personale e culturale, proprie della scuola pubblica, ma all'esigenza tutta politica di estendere al mondo della scuola modelli organizzativi e ideologici propri dell'Impresa.

5) La “riforma” elude quello che, da tutti gli insegnanti, è indicato come il principale ostacolo a un efficace svolgimento dei compiti didattici: l'eccessivo numero di studenti per classe. Grave è anche l'umiliazione professionale, con la conseguente dequalificazione sociale, inflitta agli insegnanti da una retribuzione lontanissima dai livelli delle nazioni europee sviluppate: piu' in generale, non viene dal Governo alcuna svolta nel senso di adeguati investimenti in Istruzione e Cultura.

6) Al contrario, nel solco dei suoi predecessori, di pur vario segno politico, il Governo propone forme di finanziamento alle scuole private che costituiscono comunque "onere per lo stato" (se non altro come mancate entrate fiscali), in contrasto con l'art. 33 della Costituzione.

Per questi (e altri) motivi, considerato che l'abnorme numero di deleghe al governo previste dal DDL vanificherebbe i vostri eventuali emendamenti di segno migliorativo, vi chiediamo di bocciare la "riforma", senza cedere al ricatto del voto di fiducia.

Michele Borrelli, Francesco Bossio, Francesco Campennì, Fortunato M. Cacciatore, Fabrizio Costantini, Pio Colonnello, Orlando De Pietro, Carlo Fanelli, Fabrizio Feraco, Maria Cristina Figorilli, Carmela Laudani, Giorgio Lo Feudo, Rosario F. Giordano, Bruna Carmela Mancini, Maurizio Paoletti, Raffaele Perrelli, Egidio Pozzi, Salvatore Proietti, Ivan Pupo, Giuseppe Roma, Carlo Serra, Giuseppe Squillace, Armando Taliano Grasso, Ciro Tarantino, Attilio Vaccaro, Silvia Vizzardelli.

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