Ma la scuola è ancora un ghetto rosa?

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Vi sono date, ricorrenze, che spesso diventano occasione per riflettere, per celebrare, per commemorare. Vi sono invece altre date che continuano ad essere momento di lotta.

Una di queste è certamente l’otto marzo, giornata internazionale della donna. Pur essendo entrati nel terzo millennio, pur essendo a livelli elevati in materia di tecnologia, non si può ancora oggi dire lo stesso in materia di “questione femminile”, perchè esiste ancora, come quella meridionale, perennemente irrisolta. Nel mondo del lavoro vi sono settori prevalentemente caratterizzati da una corposa presenza di donne e la scuola è quello per eccellenza in materia. Tanto che in passato, come ricorda l’ufficio studi per il Senato, con la sezione ” ghetto rosa” “le donne, oltre a combattere contro gli ostacoli giuridici che impedivano il libero accesso a determinate professioni, hanno dovuto anche lottare contro la “ghettizzazione” che le destinava ad attività lavorative, come l’insegnamento scolastico, considerate per anni una squisita prerogativa femminile. Basta citare la legge 18 marzo 1968, n. 444 che, nel delineare il nuovo ordinamento della scuola materna statale, riservava alle sole donne la possibilità di rivestire incarichi di insegnanti e assistenti della scuola dell’infanzia_ con argomentazioni alquanto discutibili: si andava dal riconoscimento della funzione “materna” dell’asilo, ovvero “sostitutiva della madre intesa come quello dei due genitori eminentemente votato ad «assistere» il bambino“ , a motivazioni meno nobili in base a cui l’insegnamento ai più piccoli sarebbe una mansione modesta, meno pedagogica e intellettiva, e pertanto riservabile alle sole donne”.

Ci furono diversi interventi parlamentari ed anche una Sentenza della Corte Costituzionale, la numero 173 del 1983 su una questione sollevata dal Tribunale Amministrativo Regionale delle Marche. La Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 39 del R. D. 5 febbraio 1928, n. 577, e dell’art. 41 dello stesso decreto, come modificato dall’art. 1 del R.D. 11 agosto 1933, n. 1286 e dall’art. 1 della legge 3 aprile 1958, n. 470; dell’art. 6 del citato R.D. n. 1286 del 1933; dell’art. 9 della legge 18 marzo 1968, n. 444 (“Ordinamento della scuola materna statale”), nella parte in cui tali disposizioni escludevano gli alunni e candidati privatisti di sesso maschile rispettivamente dalla frequenza della scuola magistrale e dai relativi esami di abilitazione e gli insegnanti di sesso maschile dall’attività didattica della scuola statale del grado preparatorio; nonchè l’illegittimità costituzionale degli artt. 8, 10, 11, secondo comma, 18, terzo comma, 19, 20, 28 della citata legge n. 444 del 1968; nonché dell’art. 9 della legge 9 agosto 1978, n. 463 nella parte in cui tali disposizioni si riferivano alle insegnanti, invece che al corpo docente di ambo i sessi. La Corte sul punto specificava che ” Ingiustificata, in primo luogo, é l’esclusione degli allievi maschi dalla frequenza delle scuole magistrali, giacché non può certo presumersi che alcun discente sia, in funzione del sesso, inidoneo all’ordine o al tipo di studi qui considerato. La norma che determina la censurata discriminazione confligge dunque con il principio di eguaglianza, prima ancora che con il precetto dell’art. 34 Cost., in forza del quale “la scuola é aperta a tutti”. Lesiva dell’art. 3 Cost. é poi, a pari titolo, la statuizione che si riferisce alle sole privatiste, e così esclude implicitamente dagli esami di abilitazione i candidati dell’altro sesso. Essa non trae, va precisato, alcun razionale supporto nemmeno dall’essere, come si diceva, intimamente connessa con l’altra norma, che per la scuola materna contempla soltanto insegnanti donne. Anche la soluzione adottata a quest’ultimo proposito dal legislatore é, infatti, incompatibile col principio di eguaglianza.”
Principio di uguaglianza, cardine nella nostra Costituzione, ma palesemente e sistematicamente violato nella società. Ancora oggi,come già denunciato più volte, nella scuola esiste una condizione chiara ed inequivocabile di condizione di lavoro femminile. E a parer mio è anche per questo motivo che nella scuola gli stipendi sono inferiori rispetto alla media europea, perchè, come è noto, in Italia, sussiste ancora oggi una pesante discriminazione in tal senso. Gli uomini complessivamente nel mondo del lavoro guadagnano in media il 7,2% in più rispetto alle donne e l’uomo laureato guadagna circa 12 mila euro lordi in più rispetto alla donna lavoratrice laureata. Dunque non è certamente un caso che il lavoro dell’insegnante in Italia è pagato meno rispetto alla media europea in tutti gli ordini di scuola. Esiste oggi ancora una questione di “ghettizzazione” femminile, anche nella scuola? Certamente esiste e continua ad esistere nell’ambito più importante per ogni Paese civile una denigratoria questione economica che svilisce la professione docente, che ne mina l’autorevolezza e la dignità probabilmente anche, ma non solo, perchè son quasi solo donne coloro che operano nella scuola.

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