Lettera aperta al PD sulla Buona Scuola, un sogno, l’immissione in ruolo, trasformato in incubo

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Sono un docente assunto nella cosiddetta fase C della riforma nota al pubblico come “Buona Scuola”.

In teoria, essendo diventato un docente a tempo indeterminato, dovrei essere grato al PD o al governo Renzi, che ha reso possibile il concretizzarsi di un lungo percorso, fatto di attese, incertezze, chilometri macinati per le supplenze, angoscia economica per il futuro, tanti sacrifici. La tipica vita del precario insomma.

Purtroppo l’adesione al piano di riforma ha trasformato quello che avrebbe dovuto essere il sospirato coronamento di un sogno, in una sorta di incubo. Dopo aver svolto l’anno di prova per il passaggio a tempo indeterminato nella mia città di residenza, nella successiva fase di mobilità ho dovuto nuovamente, come tutti i miei colleghi, selezionare ben 100 opzioni tra province ed ambito, per trovarmi infine spedito a 600 km di distanza, assegnato d’ufficio in un Istituto Professionale, in cui la materia per cui sono abilitato e specializzato non è curricolare, non viene cioè insegnata.

Quindi centinaia di km di trasferimento, per andare a coprire un incarico soprannominato di “potenziamento”. A questo punto vi chiederete ma se dalle tue parti il posto non c’è cosa pretendevi? Prima risposta: dalle mie parti il posto c’è ma non è stato inserito, per mere questioni di risparmio economico, tra quelli da stabilizzare. Continua pertanto ad essere messo ogni anno a supplenza. Il governo Gentiloni non ha voluto affrontare la questione dei trasferimenti dei docenti meridionali al nord, per motivi che sono stati così giustificati: si è passati dall’esigenza di garantire la continuità didattica, non si è ben capito a chi, alla necessità di onorare il vincolo triennale del contratto stipulato con le scuole del nord.

Ovviamente per il governo le questioni di disagio economico e/o famigliare dei docenti trasferiti non sono motivi tali da indurlo a dei ripensamenti sulle modalità di assunzione, a un’autocritica. Gli artefici della Riforma denominata “Buona Scuola” sostengono che le proteste per i trasferimenti al Nord sono ridicole, dei piagnistei, dato che è sempre accaduto ai docenti di doversi spostare. Questi rappresentanti della nostra sovranità (ministri, parlamentari sottosegretari, altro non sono che questo), dimenticano però che prima ci si trasferiva al Nord praticamente da giovincelli, freschi di laurea, scegliendo volontariamente una singola destinazione, divenendo titolari su cattedra, ovvero andando ad insegnare alle classi le materie per le quali ci si era specializzati. Nel nostro caso invece, dopo anni in cui abbiamo già girovagato da precari in lungo e in largo per il paese, e dopo essere finalmente e faticosamente riusciti a tornare a lavorare a casa, siamo stati di nuovo costretti, per poter beneficiare del diritto all’assunzione a tempo indeterminato, ad esprimere, per due volte in 6 mesi, 100 opzioni di scelta tra province e ambiti territoriali, per divenire titolari su ambito, vale a dire pedine spostabili da una scuola all’altra della provincia, e perdendo sostanzialmente la certezza di poter insegnare le materie sulle quali ci siamo ultraspecializzati.

Quindi trasferiti e demansionati professionalmente in un’unica fase; e con in più perfino la presunzione di non voler dire grazie per questo. Davvero dei pericolosi fanatici questi docenti neoimmessi. Nonostante lo stesso ex Presidente del Consiglio, mesi fa, abbia dichiarato che sulla scuola “avevano sbagliato qualcosa” e che avrebbe risolto “questa cosa dei trasferimenti al nord”, continuiamo a venire accusati dai suoi fedelissimi di voler spaccare il paese, di essere degli ingrati, in un crescente tiro al piccione che si è avvalso anche dell’alacre collaborazione di qualche autorevole firma giornalistica. Ecco, sommessamente, vorrei segnalare a tutte queste persone che l’intero meridione del paese, i suoi docenti, i suoi studenti, sono stati trattati come si tratta di solito una colonia; la continuità didattica, dall’Abruzzo in giù non interessa a nessuno, mentre è argomento da prima pagina, che provoca il malfunzionamento della scuola, se si verifica in una zona compresa tra le Marche e le Alpi. Alcuni esponenti del Partito Democratico, teoricamente facenti parte di uno schieramento che si definisce progressista, al posto di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, come la Carta li obbligherebbe a fare, questi ostacoli li hanno appositamente creati, e li continuano perfino a difendere, infastidendosi per ogni eventuale osservazione critica.

Per cui, a detta loro, io e i colleghi nella mia stessa situazione, dovremmo rassegnarci e trasferirci al Nord, con 1.300 euro di stipendio e tutto quel che ne consegue. L’ironia è che queste stesse persone, in pubblico (ed in astratto) proclamano di avere a cuore le sorti della famiglia, ma non si fanno poi nessun problema nello smembrare e impoverire le famiglie concrete, reali, che costringono a separarsi o a precipitare al di sotto della soglia di povertà. Proprio in questi giorni, gli esponenti del PD che più si sono accaniti a difendere l’indifendibile, hanno improvvisamente iniziato a fare a gara nel ringraziare il corpo docente, ed a sottolineare i meriti evidenti della riforma. È stata infatti pubblicata una notizia secondo cui, a detta dell’Ocse, la scuola italiana è la più inclusiva in Europa e la più efficace nel ridurre il gap tra i ricchi e i poveri. È partita subito una gara fatta di dichiarazioni trionfalistiche da parte degli amministratori tese a mostrare l’efficacia della riforma; peccato che gli unici dati del rapporto Ocse riferibili alla scuola siano quelli dell’anno 2000.

Per cui o la “Buona Scuola” è stato un miracolo retroattivo, oppure il tentativo di mettere il cappello sulla ricerca Ocse risulta piuttosto irreale. Sembra semmai una maniera utile per occultare la messa in atto di un vero e proprio progetto di smantellamento dei livelli di qualità didattica della scuola italiana, grazie all’introduzione di pratiche (Invalsi e Alternanza Scuola-Lavoro) contestatissime dalla stragrande maggioranza del mondo studentesco e del corpo docente. Niente da fare, i nostri governanti, sulla scuola, vogliono tirare dritto, e probabilmente, anche grazie all’efficacia della politica del divide et impera della categoria degli insegnanti, riusciranno a distruggere la nostra vita lavorativa e la serenità delle nostre famiglie. Riusciranno, costringendoci a trasformarci da docenti specializzati in tappabuchi occasionali, spediti a 600 km di distanza da dove abbiamo sempre vissuto ed insegnato, a farci odiare un mestiere per il quale abbiamo speso anni di studio, superato prove concorsuali, macinato km. Noi non abbiamo niente contro il Nord, le sue scuole, i suoi studenti, ci mancherebbe; la nostra è semplicemente una questione di sopravvivenza economica e di tenuta famigliare.

Fino ad oggi la divisione della categoria degli insegnanti ha permesso alla “Buona Scuola” di proseguire il suo cammino; ma verrà un giorno in cui anche chi, per personale tornaconto, chiede oggi la piena applicazione della 107, perché ciò va a scapito di una categoria lavorativa concorrente, finirà nel medesimo tritacarne che oggi invece pare avvantaggiarlo. Quando la Legge 107 avrà creato più vittime che beneficiari virtuali, per lei suonerà finalmente il requiem. Un’ultimissima cosa: a me, ed ai colleghi nella mia stessa situazione, risulta piuttosto difficile spiegare agli attuali studenti che l’anno prossimo non saremo più i loro insegnanti, in nome, così dicono i nostri governanti, della continuità didattica. Dato che noi docenti tendiamo ancora a utilizzare vecchi arnesi come le concatenazioni logiche, speriamo che provino a spiegarglielo i nostri governanti. Chissà, è possibile che il loro discorso li riesca a convincere. Trasferiti per garantire la continuità didattica. A studenti mai conosciuti, e togliendola a studenti con i quali abbiamo ora in atto una relazione didattica. Sì, forse è meglio che provino a spiegarglielo loro. Sono bravi in fondo a giocare con le parole.

Alessandro Marino

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