La valutazione finale non è un giudizio, un voto, ma un servizio alla persona. Lettera

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Fernando Mazzeo – Dal punto di vista scolastico  il  mese di giugno,  come di consueto, si caratterizza  per tutta una serie di azioni ed operazioni di carattere burocratico che ratificano l’impegno o il non impegno da parte dei ragazzi nel corso dell’anno, segna,  per gli alunni delle classi in uscita, l’inizio,  la fatica e l’incognita  degli esami e, soprattutto,  è animato  ed accompagnato dalle immancabili polemiche.

Alunni e  genitori dentro e fuori le nostre  scuole lasciano trasparire gioia, soddisfazione, nervosismo,  ansia  e preoccupazione, i docenti tranquillizzano,  cercano, con professionalità ed equilibrio,   di dare le dovute spiegazioni e il giusto peso a valutazioni che, puntualmente, vengono criticate e messe in discussione  e  a prove  d’ esame che, secondo alcuni, a causa dell’altissima percentuale di promossi, sono  ormai diventate   una mera formalità e andrebbero  abolite.

Sicuramente, le attese, il contesto, la scuola, gli alunni,  le metodologie e i criteri di valutazione sono  cambiati, ma questi importanti appuntamenti conclusivi (voti finali, promozione, bocciatura,  esami ecc.),  al di là dei commenti, delle critiche, delle singole e personali considerazioni, sono un aspetto  decisivo e importante per la verifica di un rapporto che esprime nobilmente e consapevolmente non un mero giudizio legato ad una temporanea, semplice e distaccata prestazione professionale erogata da una impresa di servizi, ma la parte più significativa di un’ opera educativa che trascende la dimensione spaziale e temporale, dura e si rinnova di generazione in generazione,  tende a rafforzare  la personalità,   ad aiutare  a rialzarsi dalle cadute, a superare gli insuccessi e a diventare  persona  capace di conoscere i propri doveri ed esercitare consapevolmente e responsabilmente  i propri diritti .

Purtroppo, viviamo  in un mondo in cui, nella maggior parte dei casi, vengono  richieste  azioni   perfette, prestazioni  e valutazioni eccellenti, tutti si aspettano il massimo, pochi tollerano insuccessi, battute d’arresto e voti inferiori alle aspettative di alunni e genitori. In questo scenario,   la scuola ha il non facile compito di mediare, spiegare, rasserenare, giustificare,  ottundere, ammorbidire e attenuare rigidità che, diversamente,  potrebbero compromettere gli sforzi compiuti per costruire  relazioni educative orientate al pieno sviluppo dell’alunno sul piano cognitivo, valutativo, relazionale e sociale.

Pertanto, per evitare inutili  polemiche,  generare  improprie reazioni e dare il  giusto  valore ai progressi o ai rallentamenti degli alunni, la scuola dovrebbe cercare,  nuovamente, di  recuperare ed integrare in un insieme armonico,  la distinzione tra  dimensione tecnica e dimensione    educativa della valutazione:  la  prima opera esclusivamente sui contenuti delle singole discipline, mentre la seconda si preoccupa   di  dare una giusta e corretta  percezione del voto  che    esplicita  qualitativamente  l’identità dell’alunno nella duplice  dimensione culturale ed educativa. Si tratta, in pratica, di accompagnare, come si sta cercando di fare, il voto espresso in decimi con un giudizio in grado di ripristinare l’unità tra  sapere ed essere.

Non, dunque,  numeri che spersonalizzano l’educando, lo cosificano e lo fanno sprofondare nell’anonimato, non generici  premi o castighi, ma documentati itinerari di crescita, anche di alto profilo, all’interno dei quali poter    intervenire con prudenza ed amorevole fermezza, per risolvere problemi, evidenziare e correggere  eventuali disimpegni e superficialità,  favorire  comportamenti e atteggiamenti conformi ad uno stile di vita, ad un sapere e ad una cultura, non forzata, inventata o improvvisata, ma costruita  con impegno, amore  e sacrificio, come una casa pietra su pietra, atto dopo atto, giorno per giorno.

Attraverso  la fonte viva e luminosa della benevolenza e della consapevolezza,  occorre  dotare    i  giovani  di   una adeguata capacità di  discernimento etico,  di  una significativa    forza di volontà  capace di   guidarli  nelle complesse contingenze della vita e aiutarli a trovare in se stessi la forza del riscatto e della vittoria.

La lettera che una mamma ha scritto al figlio bocciato è sì  un invito a rialzarsi, a ricominciare, a responsabilizzarsi, ad impegnarsi,  ma soprattutto un chiaro messaggio d’amore per  far capire che,  nel difficile cammino della vita,  non è solo e che può  sempre e comunque
contare sulla sua amorevole presenza.

In pratica,  anche nelle esperienze negative  i ragazzi possono continuare ad essere particolarmente soddisfatti,  contenti e felici se  hanno la possibilità di gustare un clima sereno e familiare, di sentirsi  circondati dalle attenzioni di genitori e docenti che bandiscono ogni allarmismo, che non minacciano, che non giudicano in continuazione, che non trattano da irresponsabili, ma fermi, dolci e solleciti, carichi di bontà ed  assidua vicinanza, favoriscono una conoscenza integra, equilibrata, essenziale e profonda di un percorso di crescita che, durante il cammino, può anche trovare alcuni ostacoli. Senza il sublime carburante dell’ empatia e dell’amore, senza questa segreta fiamma,   la macchina dell’educazione è condannata a fallire e ad arrestarsi  sulle ardue salite delle prime difficoltà e dei primi insuccessi.

Docenti e genitori  sono persone  che si rivolgono  a persone,   che hanno il compito di far respirare un clima cordiale, sereno, in cui non si vedono brillare occhi di semafori rossi, che hanno la responsabilità di   comunicare e trasmettere energia positiva attingendo  dalle misteriose  profondità dell’essere. Ciò che deve caratterizzare  l’educatore è, dunque,   la piena fiducia e l’amore paziente. Nei ragazzi, spesso, le parole, i gesti,  gli esempi, le raccomandazioni, gli insegnamenti,  non fruttificano immediatamente, ma rimangono latenti e germogliano  a lunga scadenza. Però non muoiono. Imparare  a cominciare ed a  ricominciare,   è  questa un’esortazione necessaria e indispensabile per  arginare lo sconforto, per superare eventuali debolezze e criticità,  per  affrontare  la vita con il rigore della correzione e il lenimento della comprensione.

Poche costrizioni,  nessuna inferriata che  incateni,  solo  parole discrete nel difficile  esercizio di richiamare, correggere, elevare, edificare, educare.

La scuola e la famiglia non devono, pertanto, ostentare il bastone del comando e  rimarcare il vile prezzo dell’ impegno o del  disimpegno, non servono né sanzioni, né premi, né attrazioni,  serve unicamente la robustezza di un cuore di materna protezione. Se il ragazzo non sente di essere amato e la natura l’ha dotato di un provvidenziale e infallibile istinto per conoscere chi gli vuole veramente bene, finisce per avvertire il peso e  il timore del giudizio.

In educazione ciò che conta  non è un numero, una  anonima, fredda ed asettica formula, licenziato, ammesso alla classe successiva ecc., ma l’altissima dignità e la grande responsabilità di una complessa, molteplice e concorde opera di servizio alla persona.

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