La scuola che non c’è. Lettera

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Lo sanno tutti quando inizia la scuola. Così tra il 10 e il 18 settembre  di ogni anno i genitori tirano un sospiro di sollievo, i nonni  tirano due sospiri di sollievo e gli alunni un abbozzo di sospiro come riconoscimento della noia e del divertimento delle vacanze estive, ma già proiettati verso l’adrenalinica impazienza di rivedere i compagni e verso il consueto lamentarsi dei compiti.

Ogni anno a giugno si sa quando si rientrerà a scuola.

Quest’anno però è diverso. Perché le scuole hanno aperto i cancelli, ma la macchina dell’istruzione si è impantanata su se stessa.

Orari ridotti fino a data da stabilire, discipline senza docenti, docenti arrivati e ripartiti, docenti, anzi persone, emigrate al Nord che lasciano i propri figli per andare ad istruire i figli degli altri.

Docenti che invece non arriveranno mai perché, si sa, le migrazioni coercitive non danno grandi risultati, docenti che  invece non hanno mai fatto i docenti ma che, con un diploma magistrale degli anni Ottanta, si ritrovano di ruolo e in una classe per la prima volta.

Ma poi ci sono anche i prof. specializzati che hanno insegnato per anni, lasciati a casa perché tanto non servono più e prof. di sostegno che andrebbero sostenuti In questa tarantella ballata su e giù per l’Italia, quelli che ci rimettono sono gli alunni, i nostri ragazzi.

Quei figli d’Italia che già sono pochi e che invece di essere preparati, istruiti, educati e persino coccolati dall’entità «Stato» più vicina a loro che è la scuola pubblica, si ritrovano in una sorta di Paese dei balocchi istituzionalizzato, come dire che la Fatina turchina invece che insegnare a Pinocchio ciò che è giusto in modo inequivocabile, lo istigasse a restare asino. Un ossimoro.

Così piuttosto che puntare alla suprema ambizione di dare alle nuove generazioni  un’ eredità indelebile di competenze e conoscenze, si rischia di insegnargli che la disorganizzazione è la regola, che il tempo durante l’orario di lavoro può essere trascorso senza fare niente, che la volontà di imparare e fare e dunque progredire «è un problema tuo».  Ed è anche inutile dare tutta la colpa alla «Buona Scuola», ennesimo tentativo di lanciare l’istruzione italiana al pari di quella degli altri paesi europei ma che, ambiziosa nel lancio, come uno Space Shutlle si è disintegrato ed è tornato  indietro con quel troppo di autoctono che non la fa funzionare, disintegrando l’istruzione e la preparazione degli studenti.

Uno Stato ha  e deve avere il dovere di preparare le generazioni future; glielo deve; soprattutto se in eredità  lascia un debito pubblico enorme, un sistema pensionistico cianotico, un tasso di disoccupazione altissimo, una ripresa economica ingolfata. Il minimo per chiedere «scusa» ai nostri figli è quello di fornirgli un’istruzione pubblica funzionante e funzionale, ottima, perfetta. Se come Paese, come generazione di genitori, politici e insegnanti non riusciamo a fare questo, allora …allora sarà il caso di cominciare a vergognarsi.

Prof.ssa  Ilaria Francalanci

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