Il buonismo nella scuola, una pratica a servizio del mercato globale. Lettera

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Sempre più spesso la scuola italiana è caratterizzata da una mentalità buonista, infeconda e capricciosa.

Al di là dei disparati sistemi d’istruzione sparsi per il mondo, molti dei quali limitati alla socializzazione e all’emarginazione del sapere critico-razionale, l’istituzione italiana sembra trasformarsi anch’essa in un modello “educativo” scarso di idee e punti di riferimento, o a creare esclusivamente spazi di quieto vivere e pacifiche convivenze. Tale impostazione, propagandata dalla invadente retorica del cambiamento, ha contagiato la dimensione relazionale nel suo insieme, specialmente atteggiamenti e condotte di molti docenti verso gli alunni.

Il buonismo, cioè l’atteggiamento di eccessiva e ingiustificata benevolenza verso gli adolescenti, che non si identifica certo con la bontà, sta creando una situazione sconcertante nel rapporto tra questi e gli adulti. Alla fonte, le famiglie contribuiscono a nascondere sforzi e ignorare ostacoli, essenziali per creare una personalità responsabile e consapevole, in grado di riconoscere diritti e doveri come a smascherare false credenze.

Nel contesto scolastico la situazione risulta imbarazzante, in quanto prevale quasi sempre un’ostilità verso l’impegno costante e l’esercizio intellettuale. La severità e laboriosità dell’insegnante, la fatica richiesta così come i gravosi ma pur necessari apprendimenti sono percepiti e vissuti come prepotenza, quasi un’arbitraria ingerenza contro le “fragili” menti degli alunni. A questa situazione poco lusinghiera a cui dovrebbe corrispondere una presa di posizione energica senza cedimenti, gli insegnanti subiscono e si adeguano, inventando i più bizzarri giochi didattici indolori pur di evitare snervanti contese con dirigenti e famiglie. Timorosi nel respingere le interferenze esterne, alimentano e incoraggiano la nuova “dottrina” moralistica, nella speranza di garantirsi uno spazio riposante di serenità. Si mostrano perciò comprensivi e tolleranti, bonari e sorridenti, in accordo con l’ambiente ovattato in cui sono immersi.

La natura dell’operare si concretizza in approvazione, accettazione e condivisione di tutto ciò che il potere prescrive. La didattica si trasforma in un’azione finalizzata a tamponare ferite, a raccogliere sofferenze, a convalidare inadempienze. L’eccessiva affezione verso lo studente, a prima vista proficua, favorisce disimpegno, insostenibili pretese insieme a inopportune confidenze. La scuola manifesta così la propria inconsistenza nel valorizzare il superfluo, l’inutile e ciò che è dannoso nella formazione. Una vera e propria ideologia della facilitazione, in cui responsabilità e rigore sono relegati alle esperienze autoritarie del passato. Le inconsistenti innovazioni imposte dell’alto, in molti casi modeste e di scarso valore, ricevono consenso e approvazione unanimi, col contributo di abili investitori e propagatori.

Nuovo coincide con buono, valido, produttivo, un bene per sé in quanto attraente. Si lavora nel vacuo, con strumenti preconfezionati, ma senza creatività e inventiva. Il docente osserva, applica, sperimenta con ordine, disciplina, quasi emarginandosi da sé. Il progetto didattico diventa una via di fuga dal melmoso servizio burocratico ma esprime anche l’incapacità di vedere oltre le apparenze, mentre l’alternanza scuola/lavoro realizza la svalutazione del pensare critico a cui si antepone lo studente del fare, servo e intraprendente. In questo meccanismo autoritario camuffato da oasi di pace, da fasulle condivisioni, il buonismo è uno dei principali veicoli per comprimere i saperi, creare menti fragili e disorientate. Esso esprime quella forma di controllo empatico, che si concretizza nella concessione obbligata e nella logica premiale. La didattica da imbonitori, la promozione facile, le quisquilie metodologiche ripetute fino alla nausea, rappresentano l’humus su cui si costruiscono e costruiranno future monadi generazionali, individui galleggianti, “ liquidi” e docili.

Una popolazione asociale scolpita su qualità transitorie, opache e subordinate alla logica del profitto. Il docente sembra ignorare il volto autentico del permissivismo scolastico, spesso lo pratica, e nei casi peggiori ne incoraggia la diffusione. Ciò nonostante, il buonismo , piaga sociale di un tempo ormai dilatato, si inserisce in un contesto degradato colmo di sfaccettature, programmato alla distruzione dell’uomo come “animale razionale”. La presa in carico di tale obiettivo da parte delle istituzioni politico-finanziarie si traduce in imperativo, in dogma, un ordine che non ammette il dissenso. L’insegnante buonista da tempo invade l’istituzione scolastica.

Non si tratta di novità, le tipologie sono varie, l’appartenenza politica trasversale. La signora caritatevole colma di spirito materno, l’esteta ribelle di ispirazione “libertaria”, il menestrello esuberante in cerca di gratificazione. All’unisono interpretano malesseri, inefficienze, trasgressioni, col piglio della obbligata condiscendenza. In questa cornice rassicurante di inconsapevole meschinità, in cui l’ignoranza del giovane è sorretta da modelli pedagogici di natura emozionale, l’insegnamento orientato alla costruzione di un senso pratico senza bussola, grandi e piccoli potentati progettano la scuola del futuro: leggera, melensa, a misura di predoni e faccendieri.
Il docente è trascinato in questa voragine senza fondo, il suo vibrare nell’aula resta muto, sterile, ingombrante…………….

Mauro Alario

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