Famiglia chiede 6mila euro di risarcimento per PDP insufficiente, respinto. Giudici: docenti non costretti a promuovere

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I genitori di una studentessa per la quale i docenti hanno elaborato un Piano di studi personalizzato hanno fatto ricorso a seguito della bocciatura.

I genitori di una studentessa per la quale i docenti hanno elaborato un Piano di studi personalizzato hanno fatto ricorso a seguito della bocciatura.

I genitori non hanno ricorso per l'eliminazione della bocciatura, ma per un risarcimento danni.

La famiglia ha puntato sull'insufficienza delle misure compensative e dispensative contenute nel PDP, che andavano da un maggior tempo per le verifiche, alla possibilità di utilizzare il PC per le lingue straniere, all'esonero dalla memorizzazione dei paradigmi verbali latini etc.

A fine anno, il CdC ha ritenuto che la studentessa non avesse raggiunto le competenze necessarie per proseguire gli studi e ne ha deciso la bocciatura. I genitori, tra le altre cose, lamentavano l'inadeguatezza degli strumenti utilizzati e la loro mancata applicazione.

I genitori hanno chiesto circa 6mila euro di risarcimento, che comprendevano anche circa 4mila euro di iscrizione ad una scuola non statale.

I giudici, con la setenza 196 del Tar Piemonte Sezione II, hanno ritenuto infondata la richiesta risarcitoria, perché la legge non vincola gli istituti scolastici ad adottare specifici strumenti compensativi e dispensativi, né lo impongono le Linee guida ministeriali, che si limitano ad indicare quelli più noti in ambito scientifico, rimettendo poi all'autonomia scolastica il compito di definire caso per caso quelli più idonei in relazione alle esigenze del singolo ragazzo.

Inoltre, i giudici hanno evidenziato come la scelta degli strumenti compensativi e dispensativi più idonei in relazione alle specifiche esigenze dell'avente diritto costituisce espressione dell'ampia discrezionalità tecnica che la legge riconosce in materia al corpo docente, la quale è sindacabile dai giudici solo in presenza di macroscopiche illogicità o irrazionalità o di evidenti errori di fatto.

La sentenza continua sottolineando, inoltre, che i genitori non hanno contestato in corso d'anno il PDP e come "l'adeguatezza di un PDP non può essere valutata ex post in relazione all'esito dell'anno scolastico, perché altrimenti il corpo docente sarebbe praticamente obbligato a promuovere tutti gli studenti affetti da DSA per non incorrere nel rischio di una contestazione a posteriori dell'inadeguatezza degli strumenti adottati; ma questo, oltre ad essere palesemente irragionevole, sarebbe contrario alla ratio degli strumenti predisposti dal legislatore per tutelare il diritto alla studio degli studenti affetti da disturbi dell'apprendimento, che non è quella di assegnare a questi ragazzi un trattamento privilegiato rispetto agli altri studenti, quasi una garanzia di successo e di buon esito del percorso scolastico, ma solo di consentire loro di raggiungere gli stessi obiettivi di apprendimento degli altri compagni, nella debita considerazione delle difficoltà da cui essi sono oggettivamente affetti e a causa delle quali sono posti, incolpevolmente, in una condizione iniziale di svantaggio rispetto agli altri."

La famiglia lamentava, inoltre, il mancato utilizzo di alcuni strumenti compensativi, come l'utilizzo del PC per le lingue straniere.

Secondo i giudici, è sufficiente osservare che la misura è stata prevista nel PDP (almeno in alcune discipline), e che da nulla risulta che la ragazza non se ne sia avvalsa o che, addirittura, la scuola le abbia impedito di avvalersene. D'altra parte, la ricorrente lamenta che la scuola non l'avrebbe "incentivata" ad usare il p.c., utilizzando un'espressione che lascerebbe intendere che sia stata lei stessa a non volersene avvalere, salvo poi rimproverare ex post ai propri docenti di non aver contrastato questo suo comportamento, incentivandola, appunto, a fare uso del p.c.. In sostanza è verosimile, come spesso accade in casi analoghi (le stesse Linee guida ministeriali fanno cenno alla frequenza di tali comportamenti) che sia stata la stessa ragazza a non voler eccedere nell'uso del p.c. per non sentirsi "diversa" dai propri compagni e che i docenti, comprensibilmente (e con quanto buon senso, verrebbe da aggiungere) non abbiano contrastato tale decisione interpretandola come un tentativo della ragazza di recuperare quell'autostima di cui i ragazzi affetti da DSA possono essere fisiologicamente carenti, almeno nelle fasi iniziali di gestione del proprio disturbo; certo è che addebitare a colpa dei docenti uno stato di fatto dipendente in primo luogo da una decisione della stessa ragazza, e in secondo luogo da una valutazione di buon senso del corpo docente, appare non solo giuridicamente infondato, ma persino ingeneroso."

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