Esami maturità, seconda prova: versione di greco “riciclata”. Brano di Isocrate già assegnato in parte nel 1947. Lettera

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È l’autunno del 1947. Sulla poltrona del Ministero della Pubblica Istruzione (da poco ritornato tale dopo la parentesi del fascismo, che lo aveva ribattezzato Ministero dell’Educazione Nazionale) siede il democristiano Guido Gonella. Il 31 maggio dello stesso si è insediato il IV governo guidato da Alcide De Gasperi, ma il ministro è in sella ormai dal luglio dell’anno precedente, un mese dopo il referendum istituzionale, quando si insediò il II governo De Gasperi e sarà ricordato come il primo ministro dell’istruzione dell’Italia repubblicana. 

È l’autunno del 1947. Sulla poltrona del Ministero della Pubblica Istruzione (da poco ritornato tale dopo la parentesi del fascismo, che lo aveva ribattezzato Ministero dell’Educazione Nazionale) siede il democristiano Guido Gonella. Il 31 maggio dello stesso si è insediato il IV governo guidato da Alcide De Gasperi, ma il ministro è in sella ormai dal luglio dell’anno precedente, un mese dopo il referendum istituzionale, quando si insediò il II governo De Gasperi e sarà ricordato come il primo ministro dell’istruzione dell’Italia repubblicana. 

In autunno va in scena le seconda sessione dell’Esame di Maturità per gli studenti dei licei, riservata a chi estiva è stato rimandato nella sessione (oggi la cosa non sarebbe possibile: all’esame o si è promossi o si è bocciati).

Per gli studenti del liceo classico (che sono la stragrande maggioranza) a giugno è uscito un brano di Senofonte (“La vera ricchezza è nelle anime”), lungo 12 righe e relativamente semplice (oggi si trova nei versionari per il primo biennio). A settembre, per i rimandati, esce invece un brano più lungo (15 righe, con l’intento evidente di “mettere alla prova” chi ha sbagliato alla prima sessione saggiandone a fondo la preparazione). “Non è vero che l’ingiusto sia più felice fortunato del giusto”: così i professori della commissione incaricata di predisporre le prove titolarono il brano, estrapolato dall’orazione di Isocrate “Sulla pace”.

Storie di ieri? No storie di oggi. Perché il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (che, nell’era dei tecnicismi imperanti, è conosciuto con l’acronimo di MIUR), ha appena propinato agli studenti del liceo classico che nell’estate del 2016 hanno sostenuto l’esame di stato (il nuovo nome della vecchia maturità) parte dello stesso testo. In particolare le prime cinque righe della versione odierna sono le ultime cinque della versione del 1947.

Per carità, ci sono anche macroscopiche differenze.

La prima consiste nel fatto che le cinque righe in questione costituivano la spiegazione di un ragionamento (“Vedo infatti che…”, dice Isocrate) impostato nelle righe precedenti.

La seconda è che il testo del 2016 è di ben 17 righe, quindi più lungo di quello di 69 anni fa (le ore di svolgimento della prova sono naturalmente ancora quattro, anche se le prove degli altri indirizzi durano tutte sei ore).

La terza è che il testo del 1947 è indubitabilmente più semplice di quello attuale (che ne costituisce per così dire lo sviluppo e la conclusione).

Ed ora le domande, che inevitabilmente sorgono a chi lavora nella scuola, ma che dovrebbero interessare anche gli studenti e le famiglie.

Perché le prove scritte degli altri indirizzi di studio sono cambiate nel tempo, adeguandosi allo sviluppo e all’evoluzione della didattica di ciascuna disciplina, mentre la seconda prova del liceo classico risulta addirittura identica (in questo caso si può parlare di vero e proprio riciclo) a quella di quasi 70 anni fa? In verità, nel 1947 l’esame di stato prevedeva quattro prove scritte (italiano, latino, greco e traduzione dal latino al greco), ma questo valeva anche per il Liceo Scientifico, l’unico altro indirizzo liceale allora esistente.

Al liceo scientifico, ad esempio, oggi in seconda prova gli alunni scelgono uno fra due problemi e cinque su dieci quesiti di matematica. Al liceo linguistico, invece, si sceglie fra quattro tracce da svolgere in lingua straniera, mentre al liceo delle scienze umane, si svolge il tema di pedagogia e si scelgono due domande su quattro proposte.

Eppure anche il Liceo Classico è stato riformato nel 2010 dall’allora ministro Mariastella Gelmini. Le “indicazioni nazionali”, gli “obiettivi di apprendimento”, il “monte ore annuale” sono ben lontani dall’impianto del liceo classico gentiliano rivisto e corretto da Bottai nel 1939 e poi a più riprese nel primo dopoguerra. Senza contare che gli studenti che arrivavano al classico nel 1947 erano una ristretta élite che aveva alle spalle tre anni di latino alla scuola media, propedeutica fondamentale allo studio del greco. E al liceo aveva fatto ben quattro ore di greco al terzo e al quarto anno, prima delle tre al quinto. Il confronto con il liceo attuale è interessante: niente più latino alle medie e le quattro ore del primo biennio scendono a tre negli ultimi tre anni.

Ed ecco dunque la seconda domanda: come si può pensare che gli alunni di oggi siano in grado di affrontare una prova che non solo in parte è identica ma nel complesso è più difficile di quella del 1947?

La domanda non è oziosa. A fine aprile 2016 al Politecnico di Milano, il MIUR ha promosso un convegno nazionale dal titolo “Il liceo classico del futuro”, auspice l’ex ministro Luigi Berlinguer, oggi presidente del Comitato per la cultura tecnica e scientifica del Ministero. Il tema era proprio quello della riforma del liceo classico, un tempo fiore all’occhiello del sistema formativo del paese, nonché modello per tutti gli altri indirizzi liceali, e oggi in forte crisi di iscrizioni (lo sceglie solo il 6% di chi si iscrive alle scuole secondarie di secondo grado). La riforma Gelmini, è stato il leitmotiv del convegno, non ha rinnovato il liceo classico, ma lo ha riportato indietro nel tempo, trasformandolo in una scuola d’elite per futuri specialisti delle “belle lettere”. Questo, almeno, agli occhi degli studenti e delle famiglie che devono scegliere la scuola superiore. La proposta di Berlinguer è, da sempre, quella di una innovazione del suo curriculum di studio per rispondere alle esigenze della “società della conoscenza”. In questa direzione va la proposta di uno degli specialisti intervenuti al convegno, il prof. Maurizio Bettini, latinista dell’Università di Siena, che da anni ha lanciato la proposta di adeguare le seconda prova dell’esame di stato allo stato attuale della didattica (non più versione decontestualizzata, ma l’inserimento in un contesto e l’aggiunta di domande di tipo culturale e antropologico, più tempo e più testi fra cui scegliere come per gli altri indirizzi).

Il Ministero insomma sembrava, fino a ieri, intenzionato ad aggiornare l’architettura del liceo classico a partire proprio dall’esame di stato. La scelta della versione di maturità del 2016 segna un deciso passo indietro. Di quasi settant’anni, a quanto pare.

Quali ragioni si celino dietro la scelta inaspettata non è dato sapere. Certo è il fatto che molti intellettuali del paese si sono in questi anni schierati contro la proposta di Berlinguer e Bettini, sostenendo che cambiare la seconda prova di maturità significhi “annacquare” il liceo classico (è l’opinione, ad esempio, di una scrittrice-insegnante come Paola Mastrocola; i giornali hanno parlato, in proposito, del rischio di un liceo classico “light”).

In realtà le cose non stanno affatto così. Semmai il liceo classico attuale rischia di essere così “strong” che presto nessuno lo sceglierà più (nemmeno chi è interessato alle “belle lettere”…).

Senza alcun dubbio il MIUR chiede agli studenti del liceo classico di oggi conoscenze e competenze maggiori di quelle di un tempo.

Qualcuno vuole la prova? Basterebbe che dagli archivi dei licei classici italiani riemergessero le versioni della seconda sessione del 1947, ancora custodite nei plichi sigillati con la ceralacca d’annata. I fogli ingialliti rivelerebbero incontestabilmente che i ragazzi di oggi, pur con una formazione diversa (sicuramente con meno ore dedicate alle discipline classiche), cresciuti in una società ricca di stimoli e di distrazioni, non traducono poi molto peggio dai loro bisnonni.

Mirco Banzola

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