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Educazione civica e cittadinanza, Centemero: ciascun docente deve dare un contributo

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Il ruolo della scuola italiana alla luce dei cambiamenti sociali, se ne discute quest’oggi alla Camera nel corso del convegno promosso dall’onorevole Elena Centemero (FI) e coordinato da Orazio Niceforo. Abbiamo raggiunto la deputata di Forza Italia per sottoporle alcune domande e riflessioni.

L’incontro di oggi tocca un tema essenziale per la nostra convivenza civile, ma mi sembra che focalizzi la cittadinanza al di fuori delle discipline, mentre forse bisognerebbe insistere sul concetto di trasversalità. Anche il docente di fisica quando insegna la sua disciplina fa cittadinanza, o su questo ha un’opinione diversa?

“La trasversalità nell’insegnamento dell’educazione civica e dell’educazione alla cittadinanza è un arricchimento: ciascun docente può e deve dare un contributo alla formazione di cittadini responsabili e consapevoli. Ma per troppi anni questa trasversalità ha significato parcellizzazione e marginalità: l’educazione civica oggi è una “materia-non-materia”, senza una progettualità uniforme, lasciata alla buona volontà della singola scuola o dei singoli insegnanti. Un trend che non tiene conto della necessità sempre più urgente di formare cittadine e cittadini italiani, europei e del mondo. A maggior ragione a fronte del degrado dell’etica pubblica, della mancanza di partecipazione allo spazio pubblico, del dilagare della violenza contro le donne, del bullismo e del cyberbullismo, delle sfide derivanti dal processo immigratorio”.

A proposito di quest’ultimo punto, si può parlare di costruzione della cittadinanza e accettare di avere in classe bambini e ragazzi che non possono diventare cittadini italiani? Lo ius soli non è un passaggio chiave?

“È importante che tutte le ragazze e i ragazzi che frequentano le nostre scuole conoscano le regole della convivenza civile, le interiorizzino e le rispettino. Il loro futuro è affidato ad un grande lavoro: educare al vivere insieme agli altri. La scuola è il luogo dell’incontro e del dialogo. Essere cittadine e cittadini è una responsabilità: significa aderire ad una concezione democratica di stato, ad una visione libera e pluralista di società. Principi che sono sanciti dalla Costituzione e dalle leggi. La nostra Carta e il nostro ordinamento, ad esempio, affermano con chiarezza che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini, possono studiare e lavorare, che la violenza sulle donne è un reato, che il matrimonio è una libera scelta e i coniugi sono uguali, che le mutilazioni genitali femminili sono una barbarie. Essere cittadini italiani, spagnoli, francesi o polacchi significa oggi essere cittadini europei. E’ questa la dimensione da considerare. Per questo deve essere l’Unione Europea a sancire regole comuni per la cittadinanza, valide in tutta Europa”.

Che cosa si aspetta dalla giornata di oggi?

“Ho voluto fortemente questo incontro per avviare una riflessione sulla strada da intraprendere: abbiamo bisogno di una svolta radicale e di una scelta netta. Educare alla cittadinanza è un processo fondamentale ed irrinunciabile per ogni scuola: c’è bisogno di far crescere l’identità italiana ed europea per far capire che viviamo in una comunità internazionale con interessi comuni come il rispetto del diritto, la pace, la parità tra donne e uomini, la crescita del capitale umano, il valore dell’innovazione, il rispetto dell’ambiente, ecc. Non si può essere neutri rispetto a questa realtà, non si può non dare risposte che siano attuate in tutto il Paese e da tutte le scuole d’Italia. In molti stati dell’Unione Europea l’educazione civica o alla cittadinanza è inserita nel curriculum scolastico, vogliamo capire insieme come far sì che questo si realizzi anche da noi”.

Pensa che gli ultimi interventi legislativi abbiano conferito il giusto rilievo alla promozione delle istituzioni e dei sentimenti democratici?

“Mi baso sui fatti, e i numeri dicono che le studentesse e gli studenti italiani ancora non conoscono le più elementari regole su cui si fonda il  “vivere insieme agli altri”. Non sono consapevoli dei propri diritti e doveri, non conoscono le istituzioni democratiche e lo spazio dell’azione pubblica, i diritti umani e la loro importanza per la convivenza civile e pacifica e gli sforzi che donne e uomini hanno compiuto per far vivere la democrazia e la legge. Solo il 13,8% delle nostre studentesse e dei nostri studenti conosce la Costituzione, mentre il 55% non ne possiede una copia, non sa quali siano i temi trattati e chi l’abbia approvata. Sono inoltre scarsissime le conoscenze di finanza, economia e del mondo del lavoro.
Nella scuola italiana è ancora prevalente l’impostazione centrata sull’insegnamento umanistico-letterario, una sorta di “enciclopedia dei saperi”, e c’è riluttanza a cedere spazio nell’orario scolastico a nuove discipline. E’ evidente che c’è ancora molta strada da fare, ma va fatta”.

Quali iniziative concrete crede che andrebbero intraprese per sensibilizzare i docenti prima ancora che gli studenti a questo che, in fondo, è il loro primo compito istituzionale?

“Innanzitutto credo il primo passo sia far sì che nostro sistema di istruzione e formazione si riappropri del compito di sostenere e di alimentare la consapevolezza civica e storica delle giovani e dei giovani: non possiamo esimerci dall’educarli a rapportarsi in modo positivo e consapevole al mondo reale e ai suoi possibili sviluppi. Il Consiglio d’Europa, con la Carta dell’Educazione alla cittadinanza democratica e con una Raccomandazione del 2010, ha invitato gli stati membri ad introdurre nei loro sistemi educativi l’educazione alla cittadinanza democratica nel curriculum scolastico, con una stretta relazione con i diritti umani, fornendo obiettivi e strumenti. Per questo la nostra proposta è introdurre una materia dedicata nella scuola media e superiore, il che non significa il venir meno del lavoro trasversale. Poi l’educazione alla cittadinanza deve anche comprendere una parte pratica, il che vuol dire, ad esempio, fare esperienza delle istituzioni. Penso ai consigli comunali per ragazze e ragazzi o alle visite di studio in Parlamento, o ancora alle esperienze di volontariato”.

Si è soffermata spesso, nel corso di questa intervista, sulla parità tra uomo e donna, quali sono le ragioni del nostro ritardo su questo tema? Dopo settant’anni di repubblica, di scuola gratuita e aperta a tutti, sembra una sonora sconfitta.

“Come Presidente della Commissione Eguaglianza e Non Discriminazione del Consiglio d’Europa mi sono battuta e mi sto battendo affinché la parità tra donne e uomini diventi un principio costituzionale in tutti i paesi e sia considerata un elemento fondamentale di democrazia e di educazione alla cittadinanza democratica. In tutto il mondo i diritti delle donne sono messi in discussione, aumenta la violenza contro le donne. Eppure nel nostro Paese ed in Europa ci sono più donne laureate che uomini. Si laureano meglio e prima, ma in ambiti in c’è maggiore precarietà, come l’insegnamento ad esempio. Le ragioni sono diverse. La più importante è quella culturale: non è ancora stata superata una visione della donna collegata esclusivamente all’ambito domestico della cura dei bambini e degli anziani. Gli uomini fanno ancora fatica ad occuparsi di tutto questo, anche se la mia e le nuove generazioni sono diverse e più aperte. Su questo si deve intervenire attraverso l’educazione. È importante sapere cosa è previsto nel nostro Paese sul fronte del sostegno alla maternità, quali sono le norme sul cognome e i diritti e doveri reciproci dei coniugi. È indispensabile far riflettere sul sessismo e sulla violenza contro le donne attraverso i casi concreti. E questo è ancora più attuale con lo straordinario flusso migratorio che interessa l’Italia: si stanno confrontando in modo netto due visioni della donna che appartengono a culture diverse, si stanno diffondendo le mutilazioni genitali femminili e si comincia a parlare di matrimoni forzati. Dobbiamo smetterla con i pregiudizi ideologici e fare tutti insieme una grande sforzo di realismo”.

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