Docenti di sostegno più a rischio patologie, se la passano peggio. Quando il “Sostegno” diviene insostenibile

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Se il primo numero della rubrica 2016 ha visto la testimonianza di un dirigente scolastico, il secondo è dedicato al Sostegno. L’unico studio attualmente disponibile in Italia è del 2009 e presenta dati ancor più preoccupanti se confrontato con le ricerche a mia firma pubblicate su La Medicina del Lavoro (N° 5/2004 e N° 3/2009).

Se il primo numero della rubrica 2016 ha visto la testimonianza di un dirigente scolastico, il secondo è dedicato al Sostegno. L’unico studio attualmente disponibile in Italia è del 2009 e presenta dati ancor più preoccupanti se confrontato con le ricerche a mia firma pubblicate su La Medicina del Lavoro (N° 5/2004 e N° 3/2009).

In altre parole gli insegnanti di sostegno starebbero assai peggio dei loro colleghi curricolari, almeno per quanto concerne le diagnosi psichiatriche nonché l’età media alle quali vengono poste nei Collegi Medici di Verifica dei capoluoghi regionali. La testimonianza di Sonia ben si presta ad alcune considerazioni cui non è possibile sottrarsi, a fronte di una realtà professionale e relazionale che non lasciano spazio a dubbi.

Alla lettera di Sonia fanno seguito, come al solito, alcune riflessioni.

La storia di Sonia

Gentile Dottore,

ho 34 anni e sto lavorando come docente di sostegno nella scuola media.

La seguo da tempo perchè mi rispecchio – fin troppo – in alcune delle testimonianze da lei pubblicate e perchè trovo utili interessanti i suoi commenti.

Come molti, suppongo, ho iniziato a informarmi solo dopo essere entrata nella scuola (senza una particolare “vocazione”) ed avere provato sulla mia pelle che il lavoro dell'insegnante non è proprio come viene dipinto dai soliti luoghi comuni.

Dopo una “tragica” esperienza curricolare, mi ero convinta che lavorare sul sostegno fosse più leggero: con l’esperienza mi sono resa conto che mi sbagliavo. Non mi dilungo: ci vorrebbe un libro intero!

(Non ho avuto modo, purtroppo, di reperire lo studio scientifico pubblicato nel 2009 sul rischio psichiatrico dell’insegnante di sostegno, ma ne posso immaginare a grandi linee i contenuti).

Ho avuto ottimi risultati negli studi, sono precisa e responsabile, ho aspettative alte, probabilmente sono una persona preparata e seria, prendo a cuore (forse troppo) i miei studenti, mi aggiorno e mi informo ma, in questo lavoro, non funziono come vorrei e la mia vita mi sembra vuota e priva di senso.

Da tempo non mi sento bene rispetto al mio lavoro e mi sono ritrovata in molti dei sintomi di disagio elencati (senso di fallimento, stanchezza e insonnia, disturbi dell’umore, cali di concentrazione, somatizzazioni, ansia, incapacità di gestire la classe e la routine, ritiro sociale, difficoltà ad esprimermi verbalmente, aggressività, attacchi d'ira, atteggiamenti distaccati e freddi, assenze per malattia, percezione di inadeguatezza, difficoltà a gestire il tempo libero…). A volte mi sembra di essere un caso “da manuale”!

Per completare il quadro, ho avuto anche una neoplasia linfatica.

Il mio disagio rispetto alla scuola è aumentato dopo la malattia perchè ho iniziato a pormi più interrogativi sulla mia vita: ho visto la malattia come una occasione preziosa per cambiare la mia vita. Occasione finora non colta. Anzi!

Mi sono già rivolta a psichiatri e psicologi, ma non sempre si tratta di persone che conoscono a fondo le problematiche legate al lavoro dell'insegnante. Circa un anno fa mi sono sottoposta a una visita psichiatrica in cui è stata riscontrata “una moderata sindrome ansioso-depressiva” con “tratti psicologici da affrontare e valutare”, per i quali ho intrapreso una psicoterapia tuttora in corso.

Già tante volte ho preso la decisione di cambiare lavoro e poi, anche per pressioni sociali (anche di chi mi diceva “ce la puoi fare”, pensando di incoraggiarmi) e il timore di non trovare altro, sono ricaduta nella scuola. Sono una recidiva.

Il riposo delle vacanze natalizie non ha portato giovamento, non ho voglia di distrarmi e non posso fare a meno di pensare, con angoscia, al rientro del 7 gennaio.

Mi sento in colpa e sono molto confusa: licenziarmi (come ho fatto un paio di volte in passato) e chiudere, questa volta definitivamente, con quel lavoro? Oppure tenere duro, sforzarmi di finire l’anno? O dare retta a chi (non insegnante) mi dice che, “con la crisi che c’è” devo accontentarmi e tenermi stretto il lavoro che ho?

Da quello che ho letto sull'argomento, esistono dei tratti di personalità che rendono più o meno adatti a svolgere una professione d'aiuto: perciò ho pensato di rivolgermi a lei per sapere se mi può indicare se e dove è possibile effettuare una valutazione psicologica/psichiatrica approfondita in merito a questi temi, per provare a vederci più chiaro, comprendere meglio la mia situazione individuale e orientarmi sulle mie scelte future.

La ringrazio per il suo lavoro e la disponibilità: un saluto cordiale e auguri di buon anno!

Considerazioni

Sono veramente numerosi gli spunti che Sonia fornisce nella sua lettera. Vedremo di affrontarli sinteticamente e nell’ordine proposto ringraziando al contempo la docente per la fiducia, talvolta esagerata, che ripone nel sottoscritto.

  1. Notiamo innanzitutto la giovane età (34 anni) dell’insegnante di sostegno. E’ questo un dato di cui tenere conto nel proposito di cambiare (o almeno tentare) lavoro.

  2. La storia di Sonia (della quale peraltro nulla sappiamo circa la vita familiare e di relazione: single, sposata, accompagnata, madre etc) comincia come per tutti all’insegna dell’ignoranza sull’usura psicofisica della professione e sull’errato convincimento che il Sostegno sia più leggero dell’insegnamento curricolare. In altre parole la fanno ancora una volta da padrone i luoghi comuni e gli stereotipi sull’insegnamento. Ecco che Sonia entra nel mondo della Scuola impreparata ad affrontare una realtà ingannatrice: passando infatti dalla padella (cattedra) nella brace (sostegno).

  3. L’alta autostima (“sono persona precisa e responsabile che è riuscita bene negli studi ed ho alte aspettative”), probabilmente supportata da quella che lo psicologo americano Farber chiama “l’esagerata componente onirica degli insegnanti”, rende più spietato l’impatto con la realtà scolastica cui nessuno aveva preparato Sonia. La stessa ammette di non funzionare come vorrebbe in questo lavoro e soprattutto di sentirsi di vivere una vita vuota e priva di senso.

  4. L’elenco completo di segni e sintomi evidenziato dalla docente quindi non sorprende (anche se sarebbe di aiuto conoscere l’intensità dei sintomi piuttosto che il loro mero numero) e la diagnosi di neoplasia linfatica sembra essere lo spiacevole epilogo. Sonia tuttavia è donna di carattere e lo dimostra proprio nella circostanza in cui verrebbe, a chiunque, la voglia di gettare le armi. Nella malattia infatti riconosce l’opportunità – non ancora sfruttata – per cambiare vita e scappare dall’insegnamento.

  5. In generale va riconosciuto come sia deleterio il mancato riconoscimento ufficiale della professione docente quale vero e proprio lavoro psicofisicamente usurante. Sonia, come molti altri, è caduta nell’inganno ed ha pagato un alto tributo. Finché le Istituzioni si rifiuteranno di raccontare le cose come stanno, vedremo cadere molti lavoratori innocenti e avremo una categoria professionale talvolta inadeguata e costretta a sopravvivere con espedienti.

Conclusioni

Premesso che sono molti a trovarsi nella situazione di Sonia proprio in virtù dell’ultima considerazione affrontata, la soluzione al caso in esame non può venire dal sottoscritto, né dallo psicoterapeuta di turno. Ai professionisti tocca il non facile compito di far mettere a fuoco il carattere, le aspettative, la resilienza, le doti e le fragilità del paziente per effettuare una scelta di vita ponderata. Toccherà invero alla docente scegliere se cambiare vita professionale o meno, valutando tutti i pro e i contro. Oggi certamente Sonia dispone di molti elementi in più rispetto a quando cominciò a insegnare anche perché ha pagato a caro prezzo la loro conoscenza in termini di salute e qualità di vita. Le forze per combattere e la positività sembrano non mancarle, quasi che le difficoltà l’abbiano temprata. La giovane età è anch’essa dalla sua parte. Che ci siano tutti gli elementi per cambiare vita? Solo lei può dirlo. Auguri, Sonia, e buon 2016!

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