Carrozza su referendum bolognese. Rivedere legge 62

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Tratto dal profilo FaceBook del Ministro – L’ultimo rapporto Istat ci consegna il triste primato di paese con la quota più alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non partecipano ad attività formative: come si capisce da una lettura attenta del rapporto, l’investimento in istruzione, nel solco della Strategia Europa 2020, è fondamentale per cambiare la situazione. E per fare questo abbiamo bisogno soprattutto di una scuola pubblica più forte

Tratto dal profilo FaceBook del Ministro – L’ultimo rapporto Istat ci consegna il triste primato di paese con la quota più alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non partecipano ad attività formative: come si capisce da una lettura attenta del rapporto, l’investimento in istruzione, nel solco della Strategia Europa 2020, è fondamentale per cambiare la situazione. E per fare questo abbiamo bisogno soprattutto di una scuola pubblica più forte

Come ha detto il presidente Letta, la società della conoscenza e dell’integrazione si costruisce sui banchi di scuola e nelle università. Si dirà: non basta, è necessario andare dalle parole ai fatti. Bene, questo vuol dire esattamente affrontare con serietà i temi veri, parlare di competenze degli alunni, di cultura formativa, di investimenti. E questo significa mettere davanti a tutto le esigenze dei bambini, perché dobbiamo avere a cuore una scuola che dia opportunità a tutti loro. Una scuola che non escluda nessuno. Dare risposte a tutti i bambini è l’esigenza pubblica per eccellenza, in cui i “beni comuni” sono tutte le realtà educative che, in un sistema integrato, sanno mettersi al servizio della formazione dei nostri figli nel rispetto dell’interesse collettivo. Infatti, secondo la legge 62 del 2000, nota come legge Berlinguer, il sistema d’istruzione nazionale integrato è costituito da scuole comunali, scuole nazionali e scuole paritarie, che svolgono tutte un servizio pubblico.

Davanti a queste esigenze pressanti, e davanti a un sistema educativo come quello bolognese che in una sussidiarietà positiva ha trovato un’occasione di allargamento di opportunità per tutti, con risultati di eccellenza testimoniati dalle esperienze e dalle statistiche, il dibattito sul referendum di domenica 26 maggio di Bologna sembra privilegiare soprattutto le esigenze politiche e i diversi posizionamenti ideologici, piuttosto che gli interessi dei bambini. A volte, in queste discussioni, la prima impressione è che ci si dimentichi di loro con troppa leggerezza: la sacrosanta battaglia per una scuola pubblica più forte non si può vincere mettendosi contro chi cerca di dare un posto a tutti i bambini. Peraltro, come ricordato da studiosi tra cui Giulio Sapelli e Stefano Zamagni, la stessa teoria dei “beni comuni” prevede che forme educative non statali adempiano a fini pubblici.

Su questo è necessario fare chiarezza. La sussidiarietà, nell’ambito del sistema bolognese e della legge 62/2000, non è in nessuna maniera una forma di privatizzazione, ma un modo con cui l’organizzazione delle persone risponde a una domanda della società, realizzando un contributo dal basso che è in linea con gli standard europei.

Penso che dovremmo tutti imparare, in questi giorni, dal buon senso che Romano Prodi ha espresso nella sua posizione, evidenziando che l’accordo attuale ha funzionato per anni e ha permesso di ampliare il numero di bambini ammessi alla scuola dell’infanzia, che nel sistema integrato bolognese fra scuole comunali, scuole statali e paritarie riesce a coprire ben il 98% della domanda. Per queste ragioni, pur nel rispetto di tutte le posizioni, come ministro dell’Istruzione punto a un buon governo pubblico del sistema attuale. Inoltre, non ritengo che la vicenda bolognese debba essere trasformata in una bandiera nazionale.

In questa posizione non c’è nessuna diminuzione dell’attenzione per la scuola pubblica. Il fine di questo governo e del Ministero dell’Istruzione è esattamente l’opposto. Nelle manifestazioni di Brindisi e a Palermo, a cui ho partecipato con emozione negli ultimi giorni, ho potuto toccare con mano quanto la scuola svolga un ruolo essenziale come laboratorio di una cittadinanza responsabile, grazie al coraggio degli insegnanti. Sappiamo che il mondo dell’istruzione pubblica ha bisogno di investimenti, di fiducia e di buon senso. Ha bisogno di dare risposte alle domande giuste: sul personale, sulla dispersione e sull’edilizia scolastica. Pensiamo che molte di queste giuste domande italiane possano avere, nelle prossime settimane, risposte concrete europee e siamo al lavoro, con il massimo impegno, per garantire i diritti di tutti i bambini.

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