Burnout: più a rischio stress docenti con classi numerose, incide educazione studenti. Vicepresidi e collaboratori meno rischi. Una ricerca della Sapienza di Roma

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Il lavoro di ricerca svolto ha come oggetto di studio la sindrome del burnout negli insegnanti. In particolare la ricerca ha previsto uno studio approfondito della sindrome nel territorio italiano, in quanto le ricerche internazionali hanno evidenziato come il rapporto tra scuola e politiche governative per l’educazione siano strettamente legate al sistema nazionale di riferimento.

La ricerca parte dall’analisi degli obiettivi proposti per Europa 2020, in cui si propone chiaramente di migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione. Viene dichiarato: “Sussiste l’esigenza di garantire un insegnamento di qualità elevata, offrire un’istruzione iniziale adeguata ai docenti e uno sviluppo professionale continuo agli insegnanti e ai formatori e rendere l’insegnamento una scelta di carriera allettante“ (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 119/3 IT del 28/5/2009).  Ma oggi in Italia fare l’insegnante purtroppo non è una carriera allettante. Diverse ricerche (tra cui quelle dell’Istituto Iard del 1999, 2000 e 2010) dimostrano che un numero sempre maggiore di insegnanti percepisce una caduta del prestigio e che sta avvenendo una femminilizzazione della professione che porta ad un’ulteriore svalutazione della professione stessa.

Il burnout è una sindrome vera e propria che coinvolge l’intera psicologia dell’individuo e causa uno sconvolgimento del contesto personale e lavorativo dove la persona scarica le proprie frustrazioni: è una rottura dell’equilibrio tra la persona e la sua professione. In particolare, nelle cosiddette helping profession, (in cui il lavoratore è a stretto contatto con la propria utenza, come ad esempio infermieri e psicologi), la sindrome porta a conseguenze negative anche per gli utenti che si affidano al servizio. Lo stress raggiunge livelli così alti che si “scoppia”. E’ un crescendo in cui ci si sente completamente esauriti, sia fisicamente che emotivamente, non si ha alcun interesse per il proprio lavoro e si tende a non organizzare quello che si deve fare. La particolarità di questa situazione è che difficilmente si riconosce di esserci caduti. E questo mette a serio rischio il proprio lavoro.

In particolare il lavoro dell’insegnante fa parte della categoria delle cosiddette helping profession, ma è l’unico nel quale il lavoratore si trova a strettissimo contatto con l’utenza per almeno 4 ore al giorno, per 5 giorni a settimana, per periodi che vanno dai 3 ai 5 anni. Gli studi che dimostrano il collegamento tra il lavoro docente e burnout sono numerosi.

Le ipotesi di ricerca mirano ad indagare in che modo il burnout sia legato alla self-efficacy degli insegnanti e al clima di scuola.

Il campione di giudizio è stato selezionato con il contributo della Federazione Gilda Unams e successivamente con la redazione di OrizzonteScuola. Inizialmente la Gilda prevedeva la diffusione del questionario ai soli iscritti di Bologna e Bari, ma poi la somministrazione si è estesa al territorio nazionale con la pubblicazione sul sito di OrizzonteScuola.
La compilazione del questionario è stata individuale, tramite invio di email nella casella di posta elettronica personale.

E’ stata usata la piattaforma di Limesurvey, che ha permesso la costruzione del questionario online e la raccolta dai sul server del Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e di socializzazione.

Il questionario che è stato costruito è formato da 5 aree: dati di sfondo (raccolta di informazioni personali e sulla scuola dei docenti); Copenhagen Burnout Inventory (questionario validato in italiano nel 2005); Self-Efficacy (Teacher Self-Efficacy scale – adattamento di Schwarzer del 2008); Clima di scuola (School-Level Environment); domande aperte:  5 item sulla percezione del disagio nella gestione della classe, dei colleghi, dei genitori, dell’amministrazione e ulteriori proposte per migliorare il proprio lavoro.

I dati sono stati raccolti da giugno a novembre 2014. Sono stati inviati 1541 inviti: di questi, il 61% ha risposto all’intero questionario. Sono presenti nella piattaforma altri 400 questionari non completi (solo delle ultime domande aperte), raggiungendo pertanto un totale del 68%.

Il tasso di risposta previsto per un questionario da compilare interamente online è del 50-60% e il tasso di abbandono per un tempo di risposta superiore ai 30 minuti è del 50%, il che porta ad affermare un successo della somministrazione online, probabilmente dato dalla rilevanza dell’argomento per gli insegnanti stessi.

Dai dati raccolti, per quanto riguarda il burnout, è emerso che il 42% del campione ha un livello 0 di burnout, ossia un punteggio basso, mentre il 31% ha un livello 3, con un punteggio alto in tutti e 3 gli ambiti indagati (personale, lavoro, utenza).

Dalla verifica delle ipotesi si può affermare che:

  • tra gli insegnanti con un elevato livello di burnout non ci sono differenze di genere, ossia ne soffrono sia gli uomini che le donne;
  • I docenti che hanno un alto livello di burnout appartengono a tutti gli ordini di scuola, senza differenze significative;
  • i docenti che insegnano da un numero maggiore di anni (più di 30) hanno un livello più elevato di burnout e viceversa chi insegna da meno di 10 anni è meno esposto;
  • i docenti che hanno un alto livello di autoefficacia hanno un basso livello di burnout;
  • i docenti che hanno un livello alto di burnout vivono in un clima di scuola negativo;

Altri dati interessanti:

  • il tempo impiegato per raggiungere la scuola non influenza in livello di burnout;
  • chi svolge funzioni attive nell’istituto (come funzioni strumentali, coordinatori di classe, ecc.) è meno esposto al burnout;
  • chi ha classi molto numerose (sopra i 25 alunni) è più a rischio di burnout, mentre classi meno numerose (meno di 20 alunni) portano un livello 0 di burnout;

I dati confermano la situazione italiana, in cui è in atto una femminilizzazione del corpo docente e una crescita dell’età rappresentata.

Emergono poi alcune interessanti osservazioni dalle risposte aperte. Si riporta una breve sintesi dei risultati ottenuti.

Per le situazioni di disagio risultano:

  • nella gestione della classe: coordinare alunni difficili e la mancanza di rispetto e disciplina;
  • nel rapporto con i colleghi: la mancanza di collaborazione e lo scarso interesse per le novità e la formazione;
  • nel rapporto con i genitori: l’avere la presunzione di commentare le scelte dei figli e la non accettazione delle difficoltà;
  • nel rapporto con l’amministrazione: l’eccessiva burocrazia e l’uso del registro elettronico.

Tra le proposte dei docenti spiccano richieste quali la riduzione del numero degli alunni per classe, il desiderio di una migliore formazione in servizio e soprattutto ritrovare il rispetto sociale per il proprio lavoro.

Si precisa che i dati si riferiscono all’anno 2014, pertanto prima dell’introduzione della legge 107 (La Buona Scuola), quindi molte delle realtà attuali non sono visibili nei dati, come ad esempio l’effetto dell’introduzione del merito o la figura del docente di potenziamento oppure ancora l’obbligo di trasferimento dei docenti per assumere il ruolo.

Interessante sarebbe poter indagare ad oggi come la situazione potrebbe essere modificata dopo questi cambiamenti.

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