ANPE, attenzione alle facili diagnosi di disturbi dell’apprendimento. A farne le spese gli studenti

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“C’è bisogno di pedagogia”, è questo il nuovo appello con cui l’Anpe invita scuole e genitori a drizzare le antenne di fronte alle diagnosi facili sui disturbi dell’apprendimento. “Troppe figure di specialisti ambiscono ad occupare ruoli educativi nelle scuole, ma bisogna stare attenti, a rimetterci sono i ragazzi e il loro diritto alla formazione” sostiene Luisa Piarulli, pedagogista, docente e presidente dell’Associazione.

Professoressa Piarulli, l’Anpe ha appena sottoscritto un documento contro la medicalizzazione dei contesti formativi ed educativi. Quali evidenze, quali dati vi hanno spinto a questo nuovo appello? C’è un aumento delle diagnosi relative a quali disturbi?

“L’Associazione Nazionale Pedagogisti è partita da un dato statistico del MIUR dell’aprile 2016 dal quale si rileva che rispetto all’anno scolastico 2010/2011 vi è un aumento considerevole del numero di certificazioni, che passa dallo 0,7% al 2,1% sul totale degli alunni italiani. L’indagine fa emergere inoltre una netta discrepanza fra aree geografiche con una prevalenza del disturbo nelle regione del nord-ovest; infine, si evidenzia in merito alla rilevazione delle varie tipologie di disturbo, una forte prevalenza della Dislessia (44%) rispetto a Disgrafia (16%), Disortografia (20%) e Discalculia [(18%).Fonte:  MIUR; Elaborazione su dati MIUR – “Ufficio di Statistica”].

Dinanzi a certe evidenze ci è parso doveroso fermarci a riflettere su dati che sono inequivocabilmente preoccupanti, almeno per chi si occupa di Educazione. Riteniamo anche che sia una questione etica se si pensa alla confusione e talvolta alla superficialità con cui si affronta la questione, dove a perderci sono solo i bambini, ai quali si rischia di non garantire il diritto costituzionale all’istruzione e all’educazione. Abbiamo raggiunto la consapevolezza che la mancanza nelle scuole di ogni ordine e grado della figura del pedagogista, figura storicamente competente nella formazione del personale docente e nell’espressione di proposte metodologiche e didattiche, abbia provocato il vuoto educativo che abbiamo intorno. Il mondo della Pedagogia oggi è poco considerato, oserei dire emarginato. Volutamente? Nelle scuole altri specialisti, preposti per lo più alla prescrittività delle diagnosi, ambiscono a occupare ruoli educativi. La petizione ANPE, “C’è bisogno di pedagogia” ad oggi ha raccolto oltre duemila firme, per affermare la tutela dell’Infanzia e dell’Adolescenza dalle diagnosi facili, per il loro autentico diritto allo studio, per la riaffermazione della Cultura, unica strada verso la libertà di scelta e della formazione del pensiero critico”.

In realtà c’è un ambito a proposito del quale si sente spesso parlare di pedagogia, cioè nella formazione iniziale dei docenti. Lei che ne pensa?

“Gli insegnanti sono sempre nel mirino: delega educativa, colpevolizzazione perché “non sanno, non fanno”, oppure “devono”. I corsi di formazione spesso rappresentano un vero e proprio bombardamento di idee e di prescrizioni: “Devi fare”. La formazione iniziale è certamente fondamentale, l’aggiornamento continuo è deontologicamente corretto, come per tutte le professioni di sviluppo sociale. Ma ritengo che ciò non sia sufficiente. Gli insegnanti sono professionisti poco riconosciuti sia economicamente che professionalmente, sono oberati di pratiche burocratiche che rischiano spesso di spostare il focus dall’alunno, hanno responsabilità sempre più gravose e sono soli. Gli insegnanti rischiano il burnout, ma di questo non si sparge la voce. Ritengo che la vera e più impellente riforma sia quella del pensiero che deve necessariamente coinvolgere e riguardare TUTTI.

Una scuola che funziona non ha 25 bambini per classe ma spazi adeguati, colorati, ambienti di vita; non tiene il passo con lo pseudoprogresso, ma con gli alunni e i loro tempi; le tecnologie non sono la nuova panacea per una buona didattica, ma semplice e non esclusivo strumento della didattica, perché la Cultura si fa con la narrazione, la scoperta, l’eros, la conquista, la scrittura, i libri… giorno dopo giorno: un percorso che richiede fatica, concentrazione o distrazione (Lèvinas), senza che questo venga letto come disturbo dell’attenzione.

Gli insegnanti hanno necessità di professionisti che supportino la loro azione quotidiana nella progettualità e nella progettazione, nel tutoraggio, nel coordinamento, nella consulenza e altro ancora: un pedagogista ha questo ruolo! Negli anni ’70 ogni scuola aveva uno psicopedagogista (come si definiva allora) che non era un docente con delle ore in più dedicate, ma un professionista distaccato dall’insegnamento e con competenze pedagogiche più che certificate. Attenzione: un pedagogista, ovvero l’ESPERTO DEI PROCESSI FORMATIVO-EDUCATIVI, che conosce i sistemi di apprendimento, le strategie educative, le metodologie didattiche, la storia della pedagogia. Mario Lodi, Gianni Rodari, Lorenzo Milani, J. Dewey, Maria Montessori, Alberto Manzi, Danilo Dolci, Aldo Capitini…u na lunghissima lista! Erano pedagogisti! Possibile che non dicano più niente? L’on. Laura Fasiolo propone una legge per l’introduzione dello psicologo scolastico; ma lo psicologo ha altre funzioni, altre competenze, non può avere un ruolo preminente in una scuola, un contesto sano a priori, dove ci sono giovani menti che non chiedono che di imparare a crescere, amare, pensare, relazionarsi, comunicare, superare gli inevitabili conflitti della vita con la resilienza. Certamente, la Pedagogia non può fare a meno dell’apporto di tutte le scienze umane e sociali perché tutto si gioca sul tavolo della natura, della storia, della cultura; nessuna di esse è autosufficiente ed esaustiva, proprio perché l’educazione implica ed è il risultato di un intreccio di elementi, di fattori, di forze, di soggetti, di idee, di scelte, di modelli, di vissuti, di confronti, di dialoghi e di contrapposizioni, di certezze e di dubbi, di acquisizioni e di rifiuti (R. Fornaca). Ma oggi vi è l’assenza di pedagogia, una delle scienze umane e sociali. È un luogo molto comune, come mai è stato nel passato, pensare che l’insegnante sia un pedagogista. Non si vuole comprendere che un docente ha conoscenze pedagogiche come io ho conoscenze matematiche ma non sono una matematica!”.

La Buona Scuola ha in qualche modo recepito alcune delle vostre istanze? Oppure vi ha delusi?

“Nella Buona Scuola sembrava previsto l’inserimento di educatori e pedagogisti nelle scuole. L’ANPE ha partecipato a un’audizione del MIUR dove ha portato proposte ed emendamenti in maniera propositiva. Abbiamo portato l’esempio dell’ANPE sede Puglia (legge regionale 4 dicembre 2009 n.31http://www.anpe.it/Comunicazione/Ultimenotizie/Archivio2009/InPugliaistituitalUNITADIPEDAGOGIA.aspx), che ha istituito l’Unità Regionale di Pedagogia e Formazione del Personale della Scuola; avevano licenziato il testo di legge, il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale Dott.ssa Lucrezia Stellacci, il Dott. Angelini ed il Dott. Francavilla delegati dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, ma ad oggi non se ne parla”.

Come si dovrebbero configurare gli interventi dei pedagogisti nei contesti scolastici?

“I pedagogisti partono dall’analisi dei bisogni di un dato contesto socio-culturale-economico, tenuto conto che assistiamo a un cambiamento epocale in cui ai pedagogisti competono due responsabilità: 1) chiarire a se stessi e alla società la situazione esistente; 2) non diventare nostalgici tradizionalisti, né postmodernisti, né professionisti che parlano di un pedagogismo della pedagogia volendo sottolineare il prevalere del moralismo rispetto alla concretezza (Fornaca). Ciò detto il pedagogista ha la capacità di decifrare i processi formativi in atto e sa proporre l’innesto di idee, di modelli, di atteggiamenti, di pratiche, di tecniche, di strategie, di obiettivi. Può accompagnare il docente nella progettualità e monitorare la progettazione; può avviare il processo autentico di verifica e valutazione; può documentare i percorsi didattici; può inserire l’attività progettuale in una intelaiatura sociale/ territoriale (oggi si parla tanto di “rete”; in realtà penso che nonostante tutto sia un’azione meno consueta di quanto si pensi). Il problema di oggi, che Morin ha fatto emergere in modo significativo ed emergenziale è la parcellizzazione dei saperi, la frammentazione degli interventi, la ripetitività, l’autoreferenzialità del progettista addirittura nell’ambito di una stessa istituzione scolastica.

Il pedagogista possiede la visione d’insieme, dà voce e forma all’ambiente di vita che è una scuola; egli supporta il docente nella gestione della classe dopo un’attenta osservazione e nell’indirizzare verso metodologie pedagogiche più coerenti alla tipologia degli alunni; garantisce la buona comunicazione tra gli ordini di scuola e un reale percorso di continuità/dis-continuità degli alunni; individua iniziative di formazione in itinere del personale docente e organizza attività di aggiornamento in coerenza con gli sviluppi teorico-socio-culturali. Il pedagogista ha cura della relazione educativa in una trama che coinvolge le agenzie formativo-educative, in particolare scuola-famiglia. Ripeto: egli è un professionista che ha la visione di insieme, mentre oggi solitamente una mano non sa che cosa fa l’altra e ciò causa una dispersione di risorse in termini economici, di energie, di tempo.

Il Pedagogista riconosce le situazioni di particolare problematicità e crea compartecipazione con professionisti competenti nell’ottica di un approccio olistico alla Persona: psicologo, neuropsichiatra, assistente sociale per esempio.

Ma il valore aggiunto più interessante e prezioso che un pedagogista può portare è l’aspetto di relazione, di umanesimo, di nutrimento, di apertura di nuovi orizzonti. Non si tratta di una pedagogia divinatoria, per carità! Il pedagogista potrà e dovrà dire “cerchiamo insieme, vediamo come si può fare, proviamo a trovare la soluzione più adatta” e rende così protagonista ciascun attore della vicenda educativa. Il pedagogista non è un mago, non produce ricette, nessun professionista dell’Educazione potrà darle, ma incoraggia le vie verso la costruzione dei Saperi, accoglie e fa accogliere tradizioni e culture che hanno bisogno di conoscersi, di approfondirsi, di convivere senza rinunciare alla propria identità. Egli avvia, apre la strada, getta il seme verso la riforma del pensiero”.

Voi parlate di interventi multidisciplinari e multiprofessionali, tuttavia si tratta di investimenti molto costosi. Chi dovrebbe sostenerli dal punto di vista economico? Lo Stato, le famiglie, i docenti stessi? Altre categorie professionali pagano di tasca propria le supervisioni dirette o indirette…

“Riportare la pedagogia nei contesti educativi è compito dello Stato. Le famiglie, per velocizzare i tempi delle Asl, si rivolgono a privati per far diagnosticare i propri figli e abbiamo le scuole che registrano forti aumenti di bambini diagnosticati. Lo Stato garantisce costituzionalmente il diritto all’istruzione e alla formazione per le persone di minore età, quindi restituire alla pedagogia il suo spazio è una questione etica e un diritto dei bambini e delle loro famiglie, a meno che non vogliamo trasformare le scuole in cliniche.

La maturazione organica e psicologica della persona avviene in un contesto e in un complesso sistema di relazioni nei quali giocano un ruolo quanto mai importante l’acquisizione di particolari e specifici comportamenti, competenze e abilità. Pensare di puntare unicamente sullo sviluppo e sull’evoluzione biologica e psicologica significa ridimensionare di molto le possibilità, ma soprattutto non comprendere che l’evoluzione stessa è la risultante di raccordi nei quali storicità, cultura, istruzione, formazione possono diventare presenze significative (Fornaca). Si tratterebbe di un investimento intelligente che eviterebbe carichi di spesa ingenti per la sanità. Infatti le diagnosi spesso contribuiscono a creare altre sindromi e problemi di vario genere: dalla depressione, all’ansia, alle fobie, persino al bullismo. Se ci fossero più pedagogisti nelle scuole probabilmente si avrebbero maggiori opportunità di riflettere sulle metodologie di apprendimento più efficaci, i genitori e i docenti si sentirebbero meno soli, si respirerebbe un’atmosfera più a misura d’uomo”.

PETIZIONE ANPE

C’è bisogno di Pedagogia.

Stop alla medicalizzazione dei contesti educativi e formativi

La Comunità Pedagogica ANPE (Associazione Nazionale Pedagogisti ) esprime preoccupazione per il proliferare di interventi diagnostici, farmacologici e psicoterapeutici anche in età precoce nei contesti educativi e formativi del nostro Paese e rileva l’assenza di una cultura pedagogica adeguata nei tempi e negli spazi.

L’intervento pedagogico educa e forma la Persona ovvero “tira fuori il meglio che c’è di ognuno”, offre strumenti per  “stare dentro il mondo ” in maniera attiva e costruttiva, libera da pregiudizi e stereotipi. Grazie a ciò il cittadino/a acquisisce competenze essenziali per la vita, tra le quali la resilienza  per affrontare gli ostacoli e le difficoltà naturali.

Il Ben-Essere e l’autentica prevenzione si realizzano attraverso interventi multiprofessionali e multidisciplinari che mettono al centro le Persone, le loro potenzialità arginando così l’attuale processo di medicalizzazione, considerata oggi una via privilegiata di intervento.

Attraverso il legittimo riconoscimento dell’Ordine, i Pedagogisti potranno garantire interventi educativi efficaci istituzionalmente riconosciuti. Secondo la Comunità pedagogica ANPE oggi è più che mai urgente promuovere il processo di RI-UMANIZZAZIONE SOCIALE e garantire a ciascun cittadino/a, nell’intero arco di vita, un sano percorso di crescita e di autorealizzazione, che risponde peraltro alle indicazioni dell’OMS a tutt’oggi non completamente applicate dai governi.

Pertanto si invitano caldamente i cittadini/e, le istituzioni, e chiunque si occupi di EDUCAZIONE ad accogliere la nostra legittima proposta dell’Ordine professionale dei Pedagogisti, che va oltre l’interesse di categoria, per ribadire il diritto costituzionale al protagonismo attivo di ogni cittadino/a.

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