Anno prova neoassunti. Patto sviluppo professionale e formazione, Bruschi: parola chiave “personalizzare”

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L’ispettore del Miur Max Bruschi ha pubblicato un post su FB , dedicato ai docenti neoassunti, concentrandosi su quelli che lo stesso definisce gli aspetti professionali del percorso di formazione.

Bruschi pone l’accento sul ruolo del dirigente nella gestione dei neo assunti e sugli “atti fondanti” del percorso:  l’autovalutazione, il patto di sviluppo professionale, la progettazione delle attività formative, l’attività di monitoraggio, accompagnamento, verifica.

Ecco il post

Vorrei provare a concentrarmi con qualche nota non sugli aspetti amministrativi, ma su quelli propriamente professionali, anche alla luce delle ispezioni svolte lo scorso anno, che mi hanno consentito alcune verifiche “dal vivo” sul quanto effettivamente accade.

La procedura del periodo di formazione e prova è una eccellente cartina di tornasole per verificare i comportamenti organizzativi di un DS sulla cosiddetta “politica del personale”. A partire dall’effettivo impegno dedicato, vuoi nell’individuazione del tutor, vuoi nelle attività di progettazione formativa, vuoi nell’attività di verifica in classe. Quest’anno peraltro gli strumenti (piattaforma, indicazioni dal MIUR, Bonus, etc, senza dimenticare la piattaforma SOFIA) sono allineati con l’anno scolastico, il che consente una progettazione reale e non meramente burocratica. Solo che occorre “il salto” di viverla come momento importante di sviluppo professionale (per tutti: non solo per il docente neoimmesso) e non come un adempimento proforma.

Gli atti “fondanti” sono sostanzialmente quattro: l’autovalutazione, il patto di sviluppo professionale, la progettazione delle attività formative, l’attività di monitoraggio, accompagnamento, verifica. La valutazione finale non è che il risultato del processo. E proprio la “qualità” degli atti fondanti è lo snodo decisivo perché, piaccia o meno, anche alla luce dell’obbligo di formazione in servizio, è la “diagnostica” del periodo di formazione e prova a misurare alcuni profili professionali del docente neoimmesso.

Decisiva è l’autovalutazione. Le schede riempite attraverso un uso sapiente di google andrebbero cancellate immediatamente. Idem, quelle compilate enfaticamente sulla base non di quello che si è, ma di quello che si presume di dover dire per fare bella figura, “tanto poi è una formalità”. Ma siccome l’autoformazione è un processo tutt’altro che semplice e scontato, fondamentale si rivela il ruolo del tutor. Una autovalutazione “rilasciata” senza, ad esempio, che il tutor non abbia MAI visto il tutorato in classe (e non una volta sola…) non ha il minimo valore. Un tutor scelto non sulla base della sua professionalità, ma su altri parametri (ad esempio, quello terrificante dell’anzianità di servizio), che nulla hanno a che fare con i compiti da svolgere, può vanificare sostanzialmente l’intera procedura. E zero valore avrebbe pure un patto di sviluppo professionale fondato su un accumulo di indicatori (purtroppo le istruzioni date sino ad ora, volte a inserire un numero minimo e massimo di indicatori, non erano di nessun aiuto: nessun essere umano è in grado in meno di un anno di formarsi sui 9 punti che rappresentano il “minimo sindacale” da inserire: si tratta di una evidente assurdità), spesso totalmente slegati dalla “diagnostica” dell’autovalutazione e che si rivela esiziale per la progettazione della formazione. Insisto e ribadisco: progettazione. La parola chiave, nella fase corrispondente alla predisposizione dei tre primi “pezzi” (autovalutazione, patto di sviluppo professionale, formazione) sta nella personalizzazione. Ogni genericità non solo si rivela inutile (se non nei casi di intreccio casuale tra formazione standardizzata e necessità effettive), ma risulta uno spreco di risorse (innanzitutto della risorsa più sacra, il tempo. Che è in Italia tra le più dilapidate, perché nessuno si prende mai l’impegno di monetizzarla realmente). Personalizzare significa considerare il docente in formazione come un professionista, non come un numero. Significa non guardarne il curriculum, ma leggerlo; non guardarlo in classe, ma osservarlo. E aiutarlo a migliorare, anche attraverso attività formative (e qui tocco un tasto dolente) finanziabili con i 500 euro del bonus. Perché non tutto può essere “offerto” e la standardizzazione coatta è GROTTESCA (e penso a quei docenti costretti a seguire i “bignami” di percorsi già svolti in università, in virtù dell’omaggio alle “parole d’ordine”).

Aggiungo: non si tratta di impartire ordini di servizio o improbabili “comandi”, ma di tracciare un percorso da costruire tra tre soggetti (DS, tutor, tutorato), del pari responsabili. E si tratta anche di garantire la necessaria “duttilità” in corso d’opera, perché alcune “pecche professionali” possono risolversi rapidamente e le risorse impegnate su altri aspetti (anche per migliorare i “punti di forza”). Occorre tempo? Certo. Ma si tratta del tempo meglio speso da parte di tutti e tre.

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