Alternanza scuola-lavoro, Marotta: freddezza delle aziende e diffidenza docenti e studenti. Occorre cambio direzione

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Un paradigma pedagogico del tutto nuovo, attraverso il quale sarà possibile accrescere nei nostri ragazzi motivazione allo studio e consapevolezza delle proprie ambizioni.

È questo in sintesi il giudizio di Paolino Marotta, Presidente Nazionale ANDIS, sull’alternanza scuola-lavoro introdotta nel nostro ordinamento dalla Buona Scuola.

Il Ministero descrive l’alternanza scuola-lavoro come l’occasione per dotarci di un nostro sistema duale, non alla tedesca, ma all’italiana. Le sembra una sintesi accettabile?

“L’innovazione dell’AS-L che la legge 107/2015 ha introdotto nel sistema scolastico italiano non si ispira al modello duale tedesco che, com’è noto, impegna gli studenti più in azienda che a scuola e mira a promuovere le conoscenze e le abilità tecniche necessarie per svolgere un’attività professionale qualificata.

In Italia l’obbligo di alternanza introdotto dal Legislatore rappresenta una risposta all’annosa questione del basso livello di competenze in uscita dai percorsi di scuola superiore di cui ci fanno carico le imprese, le università ed il mondo delle professioni.

L’AS-L intende modificare il paradigma della didattica, scommettendo sulla possibilità che i giovani dell’ultimo triennio delle superiori possano “imparare facendo”, che in contesti lavorativi diversi dalle aule scolastiche sappiano conoscere meglio le proprie ambizioni e capire come realizzarle”.

Qual è il sentire dei dirigenti italiani e dei docenti rispetto a questa innovazione così radicale del nostro sistema?

“Credo che nel primo anno di attuazione l’AS-L non abbia incontrato grandi entusiasmi a causa dei nuovi carichi organizzativi posti in capo alle scuole, ma anche a causa della “freddezza” con cui le imprese hanno accolto l’innovazione.

Ritengo che, accanto alle oggettive criticità della fase di avvio, ci sia stato anche un atteggiamento di diffidenza da parte dei docenti e dei dirigenti scolastici, abituati a percepire l’impresa, il terzo settore, l’ufficio statale o l’ordine professionale troppo distanti e diversi dai luoghi tradizionalmente deputati all’istruzione e alla formazione dei giovani”.

Per i licei si può parlare di rivoluzione, visto che l’impostazione tradizionale per questo ordine di scuole ha sempre voluto sancire una netta separazione tra sapere e saper fare. È giusto, però, che sia loro imposto un obbligo all’alternanza?

“Certamente per i licei si è trattato di un vero e proprio cambio di paradigma pedagogico, in quanto l’alternanza presuppone che si possano costruire conoscenze, abilità pratiche e competenze sia in percorsi di studio fondati sulla conoscenza che in percorsi fondati sull’esperienza pratica.

Con la progressiva disponibilità ad accogliere studenti da parte di musei, siti archeologici, studi professionali, giornali, teatri, strutture ospedaliere, scuole, ecc. si sono aperti per gli alunni dei licei degli orizzonti mai esplorati, che hanno sollecitato nei giovani interessi reali per professioni ed impieghi mai conosciuti ed alimentato grandi aspettative rispetto al prosieguo degli studi”.

Il tessuto imprenditoriale dell’Italia non è omogeneo, non dappertutto c’è una diffusa cultura d’impresa come valore sociale, così ci sono aree dove è più difficile instaurare relazioni proficue col mondo produttivo. L’alternanza qui è una bella scommessa…

“Certamente nel primo anno di attuazione è stato più difficile collocare gli studenti in alternanza in quelle aree del Paese dove c’è una debolezza strutturale del tessuto imprenditoriale.

L’anno scorso è andata decisamente meglio, in quanto le istituzioni scolastiche si sono rivolte non solo alle imprese ma anche agli enti pubblici e privati, agli ordini professionali, ai musei e alle istituzioni operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, agli enti di promozione sportiva, ecc”.

C’è chi parla di alternanza come primo ingresso dei ragazzi nel mondo del lavoro, chi la considera un’occasione per l’orientamento, chi ci vede soltanto una possibilità in più per arricchire la propria conoscenza della realtà. Lei che cosa ne pensa? Che cosa aggiungono queste ore passate lontano dai banchi alla preparazione dei nostri ragazzi?

“L’AS-L vuole essere una metodologia didattica innovativa, capace di:

– favorire l’acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro;

– valorizzare le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento dei singoli studenti;

– arricchire la formazione scolastica con l’acquisizione di competenze maturate “sul campo”;

– collegare l’offerta formativa delle scuole allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio.

Credo che l’alternanza costituisca davvero una grande sfida, perché si fonda sulla scommessa di riuscire a motivare di più gli studenti rispetto alle didattiche tradizionali. Di fatto il modello dell’AS-L mette alla prova gli studenti e li responsabilizza, ne potenzia le «competenze per la vita», la capacità di scelta, l’orientamento al lavoro, in sintesi quelle soft skills tanto richieste oggi dal mondo del lavoro e delle professioni.

Occorrerebbe rafforzare le modalità di partecipazione attiva degli studenti, coinvolgendoli maggiormente nella riflessione sul senso che l’AS-L deve assumere per ciascuno di essi in quanto opportunità e leva per costruire un personale progetto di vita e di lavoro”.

Altri punti di debolezza?

“Al momento permangono alcune criticità importanti:

– il grande numero degli studenti da collocare (quest’anno 1.500.000) in rapporto al numero delle imprese/organizzazioni disponibili;

– la difficoltà a trovare corrispondenza tra la domanda di competenze delle aziende presenti sul territorio e gli indirizzi delle singole scuole;

– la scelta delle finalità da privilegiare (didattiche, orientative, di placement, ..) con le relative tipologie di intervento (stage, impresa simulata, progetti su commissione, ecc.), in funzione degli studenti e del contesto;

– l’equilibrio da garantire tra le varie tipologie di competenze (culturali, tecnico-professionali e di cittadinanza)

Concludendo, auspico che nel terzo anno di attuazione dell’AS-L le istituzioni scolastiche possano sempre più:

– coinvolgere nella progettazione delle attività di AS-L i consigli di classe, il CTS/CS, le strutture ospitanti e sensibilizzare adeguatamente studenti e famiglie;

– pianificare l’AS-L in coerenza con il PTOF;

– ricercare tutte le possibili “alleanze” con imprese/organizzazioni del territorio;

– definire le modalità di rielaborazione in aula delle esperienze realizzate in AS-L;

– definire le modalità di documentazione delle esperienze e di disseminazione dei risultati”.

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