Agli Esami di Stato le conoscenze di Storia degli studenti si fermano alla Seconda Guerra Mondiale. Lettera

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Paolo Accardi, docente in discipline giuridiche ed economiche – Gentile Redazione,  Prima di poter dichiarare ufficialmente concluso l’esame di Stato, dopo gli scritti, c’è un ultimo ostacolo da dover affrontare: il colloquio orale, ci si trova faccia a faccia con i commissari esterni, si espone la tesina/percorso e si è chiamati a rispondere oralmente a delle domande per ciascuna materia.

Come quasi tutti gli anni da commissario d’esame, pur insegnando una disciplina diversa, quel che più mi appassiona è l’esame di Storia.

Mi incuriosisce ascoltare i “nativi digitali” che sanno tutto (o quasi) del Congresso di Vienna; di De Pretis, Crispi e Giolitti; di Cavour e della Repubblica di Weimar; della “ fascistizzazione del paese ”, per non parlare della “Prima e Seconda guerra mondiale”ripetute fino alla noia.

Ma gli anni passano e questa Storia di contemporaneo ha ormai ben poco, è come se i docenti di una generazione – quella tra i 50 e i 60 anni – si fossero fermati ai loro studi universitari, d’altronde non penso che abbiano colpe particolari, nelle stesse linee guida ( gli ex programmi ministeriali n.d.r. ) introdotte dalla Gelmini si parte dalla “Restaurazione” e si finisce con “il tramonto del colonialismo e la Comunità europea”. Il saggio storico nella prima prova scritta quest’anno parlava del “boom economico”, siamo addirittura arrivati agli anni ’60 !

Accade oggi perciò che i cosiddetti “ millennials ”, certo non per loro responsabilità, non sanno nulla di: “Muro di Berlino”, nascita del World Wide Web, ”11 settembre”, “Guerra in  Afghanistan e  Iraq ”, il primo Presidente degli Stati Uniti di colore, il fenomeno “migranti”; per non parlare dei fatti di storia italiana recente: le “ stragi impunite ”, il terrorismo, il “sequestro Moro”, “Ustica”, il “1992” con le stragi di Mafia e l’inizio della “Seconda Repubblica”.  Questo naturalmente comporta delle grandi difficoltà da parte delle giovani generazioni a leggere i giornali e anche a comprendere la complessità dei fatti del mondo.   Una volta un mio collega di Lettere mi confessò le difficoltà che trovava a far capire ai suoi alunni la “convenzione” del passaggio da “moderna” a “contemporanea” citandomi una “battuta” di un suo alunno:   “Prof! Ma se l’ottocento è storia contemporanea quella del duemila che storia è?“

Tullio De Mauro, da ministro, nominò una commissione di 250 saggi per rivedere i contenuti e le discipline di insegnamento, è da qui che sarebbe dovuta partire la riforma della “buona scuola”, soprattutto per l’immissione in ruolo di “forze nuove”. Quali materie? Quali contenuti? Come aggiornare i docenti sulle innovazioni didattiche?  Prima della valutazione viene la formazione, non viceversa. Ma questa è un’altra storia (con la “s” minuscola).

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