Abilitazione in Spagna non viene “comprata”, sono ben altri i “furbetti” che intasano la scuola italiana. Lettera

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Caro Orizzonte Scuola, scrivo per rispondere ai messaggi discriminatori rivolti a quei colleghi che, causa forza maggiore, stanno seguendo il percorso abilitativo all’estero, in Paesi come la Spagna, la Romania e la Bulgaria.

Non conosco la realtà che interessa questi ultimi due Paesi da vicino, ma solo tramite le testimonianze di persone che hanno seguito tale percorso, perciò non spenderò parole al riguardo. Conosco però la realtà spagnola, in quanto, mossa dalla frustrazione di vedermi per anni negato il diritto di abilitarmi nel mio Paese, sto seguendo proprio ora il percorso di abilitazione per la scuola secondaria in Spagna.

Sono insegnante già di ruolo alla scuola primaria, ho conseguito l’abilitazione tramite 4 anni di Scienza della Formazione Primaria, più la specializzazione sul sostegno, più una precedente laurea – anch’essa quadriennale – in Lingue e Letterature Straniere, una certificazione linguistica d’inglese C1 e 7 Master di perfezionamento. Insegno per passione, non per altro. Se il Governo italiano mi desse la possibilità di abilitarmi in Italia, lo farei. Magari ce ne fosse il modo.

Ma il modo non c’è e a 40 anni e con due bambini piccoli mi trovo a dover seguire un percorso abilitativo in Spagna. Chi parla senza sapere, limitandosi a giudicare attraverso voci evidentemente riportate da un passaparola di ignoranza, non sa che se si sceglie il percorso spagnolo sia il tirocinio che gli esami vanno svolti in loco, per essere considerati validi. Questo significa, per inciso, 3 sessioni di esami in periodo distanti tre mesi l’uno dall’altro (dunque 3 biglietti aerei, 3 richieste di permesso al lavoro, 3 organizzazioni familiari da risolvere). Un anno di percorso, 1500 ore. Sono 6 ore di frequenza obbligatoria alla settimana ( per chiarire, le assenze e le presenze vengono segnate), tempo in cui si lavora e si lavora anche sodo. E, non meno importante, il Master en Formación del Profesorado de Eso y Bachillerato, è tutto completamente in lingua spagnola. Una lingua che, o sai o ti devi imparare molto bene, se vuoi seguire il corso. Il tirocinio finale dura 5 settimane circa e si svolge in Spagna. Non in Italia, come trovo scritto nei vari commenti. Questa è la strada “scorciatoia” di cui si parla tanto dunque?

Chiaritemi le idee, perché io tutte queste agevolazioni non le vedo. In Italia per anni ho trovato la strada sbarrata, sia perché di TFA non ce ne sono più da tempo, sia perché quando provai a partecipare al Concorso indetto dal nostro Ministero ( quello del 2012 prima, quello del 2016 poi) mi fu negato l’accesso, perché non ero abilitata e perché ero già in ruolo alla scuola primaria. Perciò mi sono vista passare avanti persone che sono entrate a sostenere le prove del concorso dopo che per anni avevano fatto tutt’altro nella vita, ma avevano una vecchia laurea in mano, senza una benché minima esperienza di come si gestisce una classe, nozioni di pedagogia, conoscenza su cosa sia un DSA o un BES.

Ora leggo che chi si rivolge alle Università straniere è un “furbetto che può permettersi di comprare il titolo”. Perché i nostri corsi di perfezionamento o i nostri TFA sono forse gratuiti? Nessuno si ricorda i costi esorbitanti della vecchia SISS? Non vendiamo aria fritta, per cortesia. Leggere queste calunnie non fa altro che aumentare la frustrazione di quegli insegnanti che, come me, credono ancora in questa professione.

Il titolo NON VIENE comprato. Non so quali “percorsi facili” abbiano trovato altri. Io non ho avuto questa fortuna. Il percorso abilitante purtroppo è lungo e serio. Bello, anzi bellissimo, ma molto duro. Carissimi, sono ben altri i “furbetti” che ogni giorno intasano le nostre scuole. Ma di questi, non si fa parola. Perché in Italia è legale accettare un incarico e non presentarsi in classe; è legale lasciare una classe anche a metà anno per scegliere qualcos’altro, ma paradossalmente esiste un rigido vincolo quinquennale per i docenti di sostegno che decidono di passare sulla materia, perché così “si garantisce continuità all’alunno”; è legale insegnare dopo che per anni si è fatto un altro mestiere; è legale “comprare” i titoli qui, ma NON in un altro Paese.

Si ostacola chi decide di rimboccarsi le maniche e devolvere parte del proprio stipendio e del proprio tempo per rimettersi in gioco e crescere professionalmente, solo perché non lo si fa in Italia, bensì in altri Paesi in cui ancora diventare insegnanti significa seguire un percorso chiaro e lineare. Perché in Italia insegnare ormai è diventato quasi più difficile che diventare medico. Come se, una volta raggiunto l’obiettivo, un insegnante avesse trovato la strada per Eldorado, una città dove gli stipendi dei docenti sono fra i più bassi d’Europa. La scuola italiana merita di più. E anche noi docenti. Valorizziamo chi ancora crede in questa bellissima professione, invece di screditarlo. Grazie.

Maura Del Chierico

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