Pensioni e insegnamento come lavoro usurante: riconoscimento a maestre è storico, ma sia solo l’inizio

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La classe politica questa volta non si è tirata indietro: le maestre della scuola dell’infanzia potranno andare in pensione a 63 anni. Sarebbe bello capire se la decisione è arrivata solo in seguito alla pressione delle cronache degli ultimi mesi oppure se dati cogenti confermano l’impatto usurante del mestiere docente sulla psiche umana. Ne abbiamo parlato con Vittorio Lodolo D’Oria.

D: Da qualche settimana il governo aveva manifestato l’intenzione di inserire la professione  delle maestre della scuola dell’infanzia tra i lavori usuranti e ora pare essere cosa fatta. Il prepensionamento a 63 anni diviene realtà senza oneri a carico del lavoratore, nonostante sia da rettificare la soglia monetaria (1.350 euro lordi di pensione). Cosa è successo perché ciò accadesse?

R: Quello che è avvenuto è sorprendente e richiede una spiegazione da parte di governo e sindacati. La decisione di riconoscere come usurante una professione richiede l’esistenza di dati inequivocabili e non può essere frutto di un’emotività  dettata dai numerosi articoli sui maltrattamenti dei bimbi da parte di maestre usurate e attempate. Tra le altre cose sappiamo che i dati sulle inidoneità all’insegnamento per motivi di salute sono in mano all’Ufficio III del Ministero Economia e Finanze che li custodisce (inutilmente) in qualche buio scantinato. Solo questi dati possono rivelarci inequivocabilmente che l’usura psicofisica degli insegnanti è un fatto acclarato e che le loro diagnosi sono al 70-80% psichiatriche. E se i risultati confermeranno i pochi studi attualmente disponibili, emergerà chiaramente che il disagio mentale colpisce tutti i livelli d’insegnamento in egual misura e non solamente le maestre della scuola dell’infanzia. Va da sé che l’abbassamento dell’età per la pensione dovrà essere applicato gratuitamente  a tutti e probabilmente assai prima dei 63 anni. Le riforme previdenziali fin qui attuate mostrano la corda per un’evidente ragione e devono pertanto essere rettificate perché non hanno mai tenuto conto della variabile salute, che si deteriora con l’aumentare dell’età anagrafica, e delle malattie professionali figlie di un’aumentata anzianità di servizio. Non basta saper far di conto per riformare le pensioni: abbiamo a che fare con uomini e donne che invecchiano e si ammalano, non con numeri e robot. Una questione talmente logica da essere stata ignorata da tutti i governi: per gli insegnanti siamo passati dalle baby-pensioni del ’92 ai 67 anni di oggi, senza effettuare alcun controllo su malattie e salute della categoria professionale. Ecco perché è fondamentale che i decisori si diano un metodo e non decidano “di pancia” o esclusivamente in base a freddi numeri.

D: Nelle ultime settimane alcuni parlamentari delle due Camere hanno mostrato un interesse e una sensibilità nuovi al fenomeno delle malattie professionali degli insegnanti. Questo loro interessamento in che cosa si tradurrà? E’ la prima volta che questo avviene? A cosa attribuisce questa maggiore sensibilità?

R: Voglio ringraziare tutti i parlamentari che hanno accolto l’invito a coinvolgere le due Camere sul tema della salute degli insegnanti. In particolare sono riconoscente al senatore Vacciano che si è reso portabandiera delle nostre istanze. Già altre volte erano state presentate interrogazioni parlamentari sull’argomento, ma non ebbero risposta: basti ricordare le ultime dell’On. Sbrollini nel 2009 e del Sen. Valditara nel 2012. La mozione presentata al Senato dovrebbe essere discussa il mese prossimo e vedremo se le sarà data (e soprattutto da quali forze politiche) la giusta attenzione. Finora il Parlamento ha fatto orecchie da mercante sulla questione, mentre il governo ha varato la riforma sulla “Buona Scuola” senza affrontare minimamente la tutela della salute dei docenti. Il MIUR inoltre, non contento di aver spostato gli accertamenti medici di I istanza nei capoluoghi regionali, aveva provveduto ad accentrare a Roma tutte le visite di II Istanza per le inidoneità, rendendo praticamente impossibile a un insegnante gravemente ammalato affrontare una lunga trasferta, con medico di parte appresso e formidabili spese da sostenere. Non una sola voce di protesta si è levata, nemmeno da parte del sindacato. Occorre subito un segnale per un’inversione di tendenza.

D: La sua iniziativa ha come primo obiettivo quello di far riconoscere ufficialmente le malattie professionali degli insegnanti, quindi accertare che il loro disagio mentale è forte in tutti i livelli d’insegnamento e non solo nella scuola dell’infanzia. Pensa che l’opinione pubblica darà un’eco positiva a questo tipo di richiesta?

R: Primo indiscutibile obiettivo è quello di far riconoscere ufficialmente le malattie professionali degli insegnanti. Queste sono indubbiamente di tipo psichiatrico, ma alcuni dati evidenziano che seguono a ruota le neoplasie a causa del nefasto effetto che produce la sequenza “depressione-immunodepressione-tumore”. A oggi sappiamo che le diagnosi psichiatriche tra gli insegnanti inidonei per motivi di salute hanno un’incidenza cinque volte maggiore delle disfonie che sono riconosciute come causa di servizio. Una volta individuate con certezza le malattie professionali è possibile attuare una strategia per la prevenzione. Questa ovviamente costa ed è necessario allocare fondi ad hoc invece di pensare che le risorse piovono dal cielo. Oggi invece siamo di fronte a una situazione kafkiana: non si conoscono le malattie professionali, né ci sono i fondi per attuare la prevenzione. Tutto ciò in barba all’art. 28 del DL 81/08 che esige addirittura la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato tenendo in debito conto il genere e l’età del lavoratore. Lasciare inapplicata la succitata legge è uno spregio senza eguali alla donna che rappresenta l’82% del corpo docente ed ha un’età media di 50 anni, con tutto ciò che comporta. Dobbiamo informare l’Opinione Pubblica ogni anno sulla salute dei docenti, magari creando un osservatorio permanente: solo così smetteremo di nutrirci di sciocchi stereotipi.

D: Quale peculiarità presenta il mestiere dell’insegnante rispetto alle altre professioni di aiuto?

R: La professione dell’insegnante ha una peculiarità unica rispetto a tutte le altre: la tipologia del rapporto con l’utenza. Non esiste infatti altra professione in cui il rapporto con gli utenti, e per giunta sempre gli stessi, avvenga in maniera così insistita, reiterata e protratta per tutti i giorni, più ore al giorno, 5 giorni alla settimana, 9 mesi all’anno, per cicli di 3/5 anni. In altre parole è come se il docente si sottoponesse quotidianamente a una Risonanza Magnetica Nucleare operata da tante paia di occhi quanti sono i suoi stessi studenti: un solo capello fuori posto e i ragazzi lo mettono in croce. In questa particolarissima tipologia di rapporto per di più l’insegnante diviene nel tempo anagraficamente più vecchio, mentre lo studente (col rinnovarsi dei cicli di studio) si mantiene giovane: un “effetto Dorian Gray” capovolto. Si consideri poi il rapporto numerico (1:25), la permanente asimmetria del rapporto medesimo che è per giunta intergenerazionale e condizionerà l’insegnante rendendolo spesso incapace di sviluppare una relazione tra pari per condividere il disagio mentale coi colleghi. Alla suddetta peculiarità fa seguito tutto quello che già conosciamo: precariato, scarso riconoscimento sociale, bassa retribuzione, stereotipi sulla professione, continuo susseguirsi di riforme, allontanamento del periodo previdenziale (senza la benché minima valutazione della salute dei lavoratori), maleducazione degli studenti, sindacalizzazione e arroganza delle famiglie, globalizzazione dell’utenza e inserimento di alunni disabili nelle classi.
L’usura psicofisica inoltre sembra colpire i docenti di  tutti i livelli: dalla scuola dell’infanzia a quella superiore di secondo grado  , quest’ultimo elemento conferma che il disagio mentale professionale dei docenti è dovuto in gran parte alla professione medesima piuttosto che ad altre variabili. A confermarci il dato sono gli allarmanti numeri  che provengono da Francia, Regno Unito e Germania: le patologie psichiatriche e i suicidi nella categoria sono al primo posto  rispetto a tutte le altre categorie professionali. E’ pertanto fondamentale che tra i lavori usuranti si riconoscano anche quelli in cui vi è un forte logoramento della psiche. L’uomo non è fatto solo di ossa e muscoli ma possiede anche un cervello. Il nostro Paese non presenta dati e statistiche nazionali sulla salute degli insegnanti, ma preferisce trastullarsi con gli stereotipi sugli insegnanti: si scambia l’orario di lavoro con la docenza frontale e non ci si accorge che la vacanza si è trasformata in convalescenza. C’è infine chi ritiene di risolvere i problemi con l’installazione di telecamere, come se la Sony potesse cancellare per magia gli errori di riforme previdenziali fatte al buio. La formula vincente è la seguente: “maestre sane e soddisfatte, bambini felici e interessati”.

D: Le diagnosi psichiatriche a carico dei docenti sono notevolmente aumentate negli ultimi anni, ma è cresciuto anche il disagio psicologico dei ragazzi. C’è un nesso, secondo lei, tra questi due fattori?

R: Nell’ambito familiare quando due genitori si separano  i figli stanno male, in quello scolastico se l’insegnante sta male psicofisicamente ed è insoddisfatto, i ragazzi percepiscono il disagio e reagiscono in modo più o meno scomposto e sempre negativo. Per crescere bene I giovani chiedono serenità sia in ambiente scolastico, sia in quello familiare. Ma tutto ciò risulta ancora insufficiente finché scuola e famiglia non ripristinano quell’alleanza precedente al ’68 quando i rispettivi ruoli erano compresi, condivisi e rispettati. Oggi siamo di fronte allo sfascio della famiglia e al disinteresse per la scuola. Un esempio su tutti? Non si sono trovati i fondi per la prevenzione della salute degli insegnanti, ma sono stati stanziati per finanziare il comma 16 della L. 107/15. Chi ha orecchi per intendere…
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